Angela Nunzia D’Urso – Manfredo e l’eterna lotta tra le forze interiori

«Ho amato veramente tanto, ma la sofferenza mi ha portato alla resa. Mi sono arresa a ogni relazione. Ogni tentativo di ricerca perdeva il senso. Così Manfredo non esiste. Non esiste che nella realtà dei miei pensieri. Ho creato Manfredo […]» Queste sono le sue parole: tra sogno e realtà, quindi chi è veramente Manfredo per lei?

“Manfredo non esiste appunto, ma è una parte di me. È una proiezione e anche un ideale. Io amo Manfredo. Tutti noi danziamo tra energie femminili e maschili, forze interiori che possono essere chiamate anche archetipi. Nelle mie letture ci sono Carl G. Jung e Jean Bolen: loro mi hanno ispirato e anche aiutato. Manfredo è un nome germanico e vuol dire “la forza della pace”. Manfredo, quindi, parla del maschile e femminile in lotta. Una lotta, per me, che ha trovato nella resa un processo di accettazione sottile.”

Il suo stile è diretto, incisivo e tagliente. Cosa è che la spinge a creare arte e che dà inizio al processo creativo, a calare la maschera?

“Scrivo quando sono arrabbiata, delusa, affranta. Emozioni che fanno parte della vita. Scrivo quello che sento e non posso esprimere in quel momento attraverso il corpo. I miei studi accademici non sono stati improntati verso l’arte. Vivo il mio quotidiano di scienza e numeri. Ho frequentato dei corsi della Scuola Holden di Torino: mi hanno insegnato a trasformare le sensazioni in parole, invece che reprimerle. Tuttavia, non riesco a stabilire uno spazio temporale e come normalmente abbia inizio il mio processo creativo. Riconosco, invece, quella necessità di scrivere un’idea o l’inizio di una poesia dove capita, sempre con data e luogo. Un foglio, l’agenda, il telefono, sul mio quaderno. Quando sono tranquilla senza le pressioni della routine, ricopio sul quaderno, iniziando un editing più di forma che di contenuto.”

Se dovesse descrivere cos’è per lei la scrittura in una sola parola, quale sarebbe e perché?

“Eruzione, dal latino erùmpere, uscir fuori con violenza. Non penso alla violenza fisica, penso alla violenza fisiologica di una nascita o di espletare i bisogni. Questa è un’immagine carnale e poco poetica, lo riconosco, ma per me è la natura semplice e necessaria.”

Nel suo libro si alternano prosa e poesia, poesie di media lunghezza e haiku, per definizione decisamente più ermetici. Le piace sperimentare tecniche di scrittura diverse oppure è tutto frutto dell’ispirazione del momento che porta poi a risultati così eterogenei?

“Mi piace sperimentare perché, fortunatamente, così sono stata educata. Quando si pensa all’educazione, il pensiero corre direttamente ai genitori: mio padre e mia madre mi hanno dato di sicuro le basi per un carattere pronto a testare cose nuove. Tuttavia, qui, mi riferisco non solo a loro, ma anche agli insegnanti che hanno assecondato e quindi fatto prosperare la mia natura senza fronzoli e con la cura di chi fa il mestiere dell’insegnante. La professoressa Di Punzio delle medie mi aprì alla lettura, e per lei era senza confini. Il professore Annese al liceo, chiedendoci di imparare la Divina Commedia e le poesie a memoria, per poi cercare l’interpretazione profonda, trasferì in me questa passione. La professoressa Mulas di Scienza delle costruzioni all’università, in uno dei mille ricevimenti nel suo ufficio, mi disse: “Nel nostro lavoro dobbiamo studiare anche quello che non ci piace, perché un giorno a distanza di tanti anni, vedrai, ci servirà. E ti prometto che tutto questo ti servirà”. Aveva ragione, mi è servito tutto. La mia insegnante Mari Accardi della Scuola Holden, diventata amica, mi sprona con dolcezza alla scoperta. Le sue osservazioni si sono radicate nella mia mente. Vorrei poter dire che è solo l’ispirazione del momento, ma non lo è. Il mio corpo e la mia mente sono frutto di una piacevole contaminazione di persone e storie che hanno fatto parte del mio percorso e di migliaia di libri letti con voracità. I risultati eterogenei sono, poi, la miscela perfetta di un attento editing, che ho capito solo negli ultimi anni, quanto sia fondamentale per chi legge.”

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