Walter Fusi e i “Sentieri” della poesia

Scrivere in versi significa per me volermi liberare da un senso di oppressione che pervade la mia mente e il mio più recondito interiore sentire, dando alla luce, nel modo strutturato dal mio pensare, a quel groviglio di idee e di emozioni presenti nel mio io per essere dipanate e svelate. Il lettore è così costretto a sua volta a interagire con me, anche se a distanza, a concentrare la sua attenzione sui concetti che ho voluto esprimere, ponendosi in sintonia con le suggestioni intellettive e con le emozioni che ho cercato di trasmettere. Sia che ciò avvenga, sia che ciò non si verifichi, posso dire di aver raggiunto i miei scopi: quello di svuotarmi di un peso interiore che mi avviliva e quello di “contaminare”il lettore con alcune pose del mio essere rese palesi col verseggiare.

Attraverso lo strumento poetico mi è possibile dare contezza di momenti della mia esistenza più lontana o più vicina nel tempo che, come se stessi compilando delle note per un diario, stanno lì a testimoniare miei vissuti, memorizzati quali tracce indelebili da custodire gelosamente, sottraendoli all’oblio del tempo che fugge via.

Nella mia poesia gli accadimenti della vita fungono da pretesto per ampliare l’orizzonte cognitivo, così da favorire la riflessione attraverso un metodo induttivo che, a partire da singoli aspetti della mia esistenza, conduca verso considerazioni tali da oltrepassare le soggettive particolarità. Dal cammino del mio essere, dall’iniziale ampia e agevole viabilità, successive vie necessitano di diramarsi quali “sentieri” più o meno scabrosi da percorrere, sia per le vicende rappresentate, sia perché attraversati in solitudine.

Auspico di poter trovare compagnia nel lettore che abbia piacere di cogliere nella mia narrazione motivi e spunti di feconda intellezione. In particolare nel testo “Uomo che ridi… uomo che piangi” è presente la mia concezione della vita come una sorta di dilettevole “weltanschauung”, prodotto di miei studi e interessi in campo filosofico. Anche in altri testi è possibile avvicinarsi alla mia “visione senza ipocrisia” dell’umanità dell’uomo, come di una fune tesa tra la sfera remissiva del “bene” e la forza prorompente del “male”, che tutto tende ad avviluppare.

Trattasi dunque di tematiche da sempre affascinanti chi voglia porsi dei perché sulla “natura umana”: filosofi, teologi, letterati, intellettuali più in generale e persone sensibili dall’animo gentile. Attraverso il poetare mi è gradito vivisezionare la “ragione umana” per metterne a nudo le bontà e i limiti da cui è affetta, da cui non può liberarsi. Non può superare i suoi limiti sia perché ciò non è in suo potere, sia perché non vuole neppure prenderne coscienza preferendo illudersi di poter determinare“meravigliosi salvifici effetti”. Queste considerazioni in versi mi aiutano a percorrere i “sentieri” di cui si compone il mio cammino invitandomi a vincere le incertezze insite nell’esistenza.

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