Interviste d’Autore – Maria Zappacosta

Le sue origini italo-ungheresi segnano un binomio di sangue e tradizione, ma anche e soprattutto due diversi modi di pensare, di vedere, di sentire, di immaginare il mondo… come riesce a portare queste due parti di sé nella sua poetica?

La poesia è l’arte di far entrare il mare in un bicchiere diceva Italo Calvino. In Ungheria manca il mare ma il sogno è una ricchezza che ci introduce alle sponde dell’emozione, uno sguardo che rimane senza frontiere. Fin da piccola ho respirato le due culture, molto diverse tra loro, che hanno arricchito in me quella creatività che è tipica negli esseri umani. Odori, suoni, percezioni dell’est che s’incontravano naturalmente con quelle dell’ovest; il sentire i due mondi non poteva che essere raccontato con un linguaggio comune che è quello per immagini. Due culture che hanno vissuto l’arte attraverso l’incontro di tanti popoli e mi chiedevo nell’infanzia quanto l’emozione trasmessa da ciascun poeta portasse con sé anche quella degli altri, l’armonia con il pensiero di una rinascita.”

“Come zucchero su limone” è un titolo che rende accattivante l’opera, dandole un senso di mistero e ricerca di meraviglia. Da dove nasce questa idea? Cosa vuole intendere con questa antitesi?

Come zucchero su limone riprende il verso della poesia “Radice di Vita”: un elogio, una profondità che compie il suo giro terrestre tra le percezioni, la dolcezza che sovrasta l’acre, una ribellione intima che riprende i legami, quando si cerca quel ponte che ci lega nei rapporti, nel rendere eterno un attimo e sentirlo fino a diventare quell’istante che non si consuma alla goccia che insiste sulla roccia, ma la modella. L’ascolto di una voce che si misura in sentimenti, l’esplosione di primavere che si reinventano come nuovi inizi verso esplorazioni di posti che “accadono”, il pensiero che sfiora l’orma poetica rendendola protagonista.”

Quali sono i suoi punti di riferimento poetici? Ci sono autori del passato ai quali si sente di dare spazio anche nelle sue poesie?

“Penso al grande poeta turco Hikmet ma penso anche al poeta Pablo Neruda: l’amore come farfalla danzante che colora il volo, accompagnando la vita ad uno spettacolo di luci che si liberano ad ogni pennellata nei versi. I poeti ungheresi Ady Endre, Attila József e Illyés Gyula che riprendono la realtà movimentandola ad ogni suono che si accosta da una vena complessa al veritiero armonizzando lo sfogliare di più sentimenti sulla tavola delle emozioni. La semplicità di Wisława Szymborska, ovvero la genuina parte del necessario, la poesia che si racconta tenendo un filo di lana che arriva al capriccio di una stella, “Il mondo vuol vedere la speranza sul viso”. Charles Bukowski, il talento poetico che s’insinua tra il giorno e la notte, il nostro yin e yang, la nostra consapevolezza nell’intuito riuscendo ad essere spontanei come sorsi d’acqua nella sete della vita. Ed infine l’ermetismo di Eugenio Montale stuzzica le mie corde più nascoste ed indecifrabili lasciando all’immaginazione l’occasione di svelare il segreto di un verso con il sentire.”

La natura esplode con forza tra i versi della sua monografia, una natura che sembra essere presente e una costante nella sua vita. Questa impressione rispecchia la realtà? Si sente di vivere in stretto rapporto con la natura?

“La natura è la primadonna che riesce a cucire un atto sul palcoscenico ad un’ovazione che merita una replica anche se oggi viene costretta al silenzio. Senza la natura l’ispirazione è una circostanza che non ci si addice. Sono cresciuta immergendomi nella lettura di una fantasia portata dai fiumi, dal mare, dallo spicchio lunare che accompagnava la mia scrittura. È come se lo sbocciare di un fiore fosse simile all’inchiostro che trova la sua linea. Ci adattiamo tutti al cielo cercando la nostra firma tra il volo di un uccello e la genialità di una punta di luce dettata dal sole. Lo sconvolgersi dell’attimo nella ricerca di più punti uniti in modo universale in una natura che ci attraversa rivelando l’infinito.”

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