“La tragedia più orribile di tutta la storia della letteratura” è la sintesi della vicenda giudiziaria che travolse lo scrittore ingelse Oscar Wilde.
Come noto, lo scrittore, seppur sposato, viveva in maniera libera la sua omosessualità con Alfred Douglas: la relazione era osteggiata dalla famiglia di Alfred, in particolare dal padre John, marchese di Queensberry, che non accettava il rapporto tra Wilde e suo figlio Alfred nonostante non facesse nulla per impedirla tanto che i due amanti partirono più volte per diversi soggiorni all’estero.
Oscar Wilde mal sopportava la moralità dei suoi tempi e quando il marchese di Queensberry gli fece recapitare un biglietto in cui lo accusava di sodomia, Oscar decise di portarlo in tribunale con l’accusa di calunnia.
Purtroppo il procedimento giudiziario si ritorse contro lo stesso Wilde poiché, nel raccogliere le prove, venne di fatto confermata la sua omosessualità e il processo si conluse in favore del marchese di Queensberry.
Il 6 aprile 1895 si tenne l’udienza del nuovo processo contro Oscar Wilde e il giudice si rivolse a lui chiedendogli: “Cos’è l’amore che non osa pronunciare il proprio nome?”, Wilde rispose: “L’Amore, che non osa dire il suo nome in questo secolo, è il grande affetto di un uomo anziano nei confronti di un giovane, lo stesso che esisteva tra Davide e Gionata, e che Platone mise alla base stessa della sua filosofia, lo stesso che si può trovare nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare… Non c’è nulla di innaturale in ciò.”
Nonostante il pubblico presente fosse a suo favore, Oscar Wilde venne condannato a due anni di reclusione. All’emissione della sentenza disse solo: “Mio Dio, mio Dio.”