FRANCESCA GITTI

ARTE CATARTICA PER RINASCERE

L’opera dell’artista Francesca Gitti è caratterizzata da due elementi fondanti: la catarsi e lo stile. A una prima visione, si potrebbe dire: donna, lacrime, sangue, amore e dolore. Eppure c’è dietro molto altro. CATARSI. Il termine “catarsi” ha due significati importanti: quello dato dalla tradizione classica greca e quello fornito dalla psicologia. Nella religione della Grecia antica, è il termine indicato per “la cerimonia” di purificazione in rituali religiosi e magici, inteso a mondare il corpo e l’anima da ogni contaminazione. In Platone il termine si riferisce alla purificazione dell’anima dai mali interiori. Aristotele nella “Poetica” ce ne spiega il senso applicato all’arte che induce alla meditazione, alla riflessione e perciò libera dalle cure quotidiane. Nel teatro è il liberatorio distacco dalle passioni, tramite le forti vicende rappresentate sulla scena dalla tragedia. L’ars, mimesi, imitazione, della realtà, solleva e rasserena l’animo dello spettatore da tali ferite, dolori e passioni, permettendogli di riviverle intensamente allo stato sentimentale e quindi di liberarsene. Nella psicologia la catarsi è un processo di liberazione da esperienze traumatizzanti o da situazioni conflittuali, ottenuto col far riaffiorare alla coscienza dell’individuo gli eventi responsabili, rimuovendoli dal subconscio. Questa concezione catartica è l’idea base dell’arte di Francesca. Allora le lacrime e il sangue di “CRY”, “FUTURE”, “SHADOW”, sono un’espulsione del male, che tramite il rito sacro dell’arte viene purificato, superato, annientato. La missione è personale e comunitaria, poiché tramite queste opere sia l’autrice, sia lo spettatore, possono emanciparsi dalle ferite inflitte dal mondo e dalla vita. Dal rosso sangue, l’acqua che sgorga diviene piano piano bianca, trasparente e cristallina, mondata in un fiume di lacrime. Simbolicamente è come se Francesca trasformasse la più infima delle fogne in un puro torrente di alta montagna. L’opera simbolo è “IL PASTO”, dove una donna appollaiata sul ramo di un albero, è costretta, suo malgrado, a cibarsi delle molliche che le elemosina il mondo. Qui la purificazione sarà anche un trasformazione e una resurrezione. Il corpo di donna diventerà quello di un magnifico uccello e volerà via da quella lordura. Calzano perfettamente le parole di un grande cantante, esse valgono per l’artista, sostituendo a “musica” la parola “pittura”: “Il nostro lavoro, le nostre esibizioni, sono uno sforzo di metamorfosi. È come un rituale di purificazione in senso alchemico. Prima ci deve essere un periodo di disordine, di caos, il ritorno a una landa di disastro primordiale. In tal modo si purificano gli elementi e si trova un nuovo seme di vita che trasforma l’intera esistenza, l’intera materia, l’intera personalità, finché alla fine, se tutto va bene, si riemerge per ricomporre ogni dualismo e opposizione. Allora non si parlerà più di Male e di Bene ma di qualcosa di uniforme e puro. La nostra musica e la nostra personalità, così come appaiono nelle performance, sono ancora in uno stato di caos e di disordine, forse con un incipiente elemento di purezza pronto a svilupparsi” (Jim Morrison). STILE. Il secondo elemento caratteristico dell’opera di Francesca è lo stile. Dei colori rosso e bianco abbiamo già detto, tuttavia simile è il principio nella adozione della “forma” adatta per esprimere l’idea principale. Serve, infatti, uno stile che riesca a cogliere le parti ferite dell’anima e del corpo e porti, comunque, dentro di sé contemporaneamente l’ombra della distruzione e il seme della rinascita. La scelta dell’artista ricade su una ottima commistione tra il cubismo di Pablo Picasso (evidente in “TREE”) e la spiritualità e profondità dell’artista giapponese Katsushika Hokusai. Rifarsi a Picasso è un’ottima soluzione, poiché i soggetti rappresentanti vanno letteralmente scomposti e ricomposti. Ci sono, però, una integrazione e una caratteristica diverse nell’opera dell’artista: mentre il cubismo analitico raffigura il soggetto guardandolo da diversi punti di vista, anziché da uno solo, come accadeva nella tradizionale visione prospettica e dunque le forme vengono scomposte nelle loro parti essenziali e ricomposte sulla tela; invece in Francesca la deframmentazione, l’analisi di ogni sezione, lo sguardo da ogni prospettiva e la successiva riunione, non sono solo nella sfera geometrica, fisica e corporea, ma profondamente anche in quella psicologica e spirituale. Qui entra in campo l’arte giapponese di Hokusai. Finemente citata dall’artista, essa dona un velo di saggezza. È, in fondo, quel germe di potenzialità e rinascita spirituale presente in ogni immagine. Con queste chiavi di lettura l’osservatore può, allora, visitare questa galleria e se sarà attento, parteciperà anche lui alla “catarsi”, sarà cioè pronto a librarsi in volo dall’albero verso la libertà e dai miasmi dei profondi abissi umani, potrà elevarsi a respirare l’aria pura di vette e colline profumate, piene di mandorli e ciliegi.

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