Francolando Marano

Come araba fenice, la vita… rinasce, sempre

I versi di Francolando Marano attraversano diacronicamente luoghi e terre della nostra Italia che si fanno bacino immaginativo per la sua arte; l’immersione totale e visionaria in questi luoghi li personifica e li vivifica, li anima di corpi in movimento, li riempie di intensità sacrale e diventano così teatro di episodi epocali e simbolici. Marano ci parla di momenti memorabili, di “grandi fini” che preludono a “grandi nuovi inizi”. Sono quei momenti topici, quei crocevia della storia dell’umanità che diventano simbolo e metafora di snodi interiori profondi e che attribuiscono senso alla vita tutta, nella sua intensità. Quei momenti di epochè, appunto, di sospensione del giudizio, in cui il respiro si spezza davanti alla potenza della vita, dove tutto può davvero accadere. Apocalisse e genesi; guerra, distruzione e rinascita. Profondo buio e profonda luce. Morte e vita. Perché niente perisce davvero in un nulla vuoto e amorfo, ma la vita e il suo trascorso storico ci mostrano la meraviglia del risorgere sempre a nuova forma, anche lì dove tutto sembra perduto, come ex nihilo: unica vera costante. Come araba fenice, la vita… rinasce, sempre. La poesia di Marano esprime un mondo interiore dirompente, struggente ed intenso come quello veicolato dalla sua terra natia, la Sicilia, una terra che porta in sé la potenza creativa e fertile di un animo appassionato e vibrante, dove la vita in ogni sua piccola manifestazione in questo mondo viene onorata e vissuta fino in fondo. E l’uomo è colui che metaforicamente lotta con coraggio contro la potenza disgregante e metamorfica della Natura divina e imperscrutabile, che non si lascia piegare dal dolore ma, eroico, combatte per i propri valori e ideali rischiando tutto. Così come Leonida eroe di Sparta o Dante e Petrarca devoti e costanti nel loro tormento d’amore fino alla fine. Cadere e rialzarsi sempre, perché anche il peggiore dei mali può aprire le porte alla più grande delle rinascite: meraviglia e stupore. La natura nelle sue massime manifestazioni diventa metafora di quel sentimento del Sublime di Romantica memoria, uno Sturm und drang che attrae e respinge al tempo stesso, che seduce nella sua potenza vigorosa e senza freni ma che allo stesso tempo, proprio per questo, intimorisce: tempesta ed impeto, desiderio. Un microcosmo interiore che riflette la potenza della vita nella sua massima espressione: l’amore totale e onnicomprensivo così come il tormento profondo che distrugge e frammenta ogni cosa. “Odi et amo” direbbe Catullo, un apparente ossimorico sentimento, inspiegabile, che può solo farsi sentire nel suo dolente “excrucior”. Quella di Marano è una poesia che non dimentica, che si nutre della nostra cultura più profonda e ancestrale e che di questa fa tesoro situandosi storicamente in una parabola simbolica di vita che ricorda sapori antichi e ci insegna a vivere pienamente, con consapevolezza sì, sentendo il timore dell’imprevedibilità degli eventi, della fine e dell’effimerità del tutto, come camminando sulla soglia di falesie e dirupi, funamboli smarriti tra schegge di follia e di imminenti stravolgimenti, ma con quella tensione vigorosa al “domani”, volontà costante e salda al procedere sempre in avanti, desiderante, senza remore, senza indietreggiare mai perché “poi venne sera e fu altro mattino”.

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