LUCIA GAETANI

POESIA LUMINOSA E PROFUMATA D’IMMENSO

L’opera della poetessa Lucia Gaetani prende vita da due elementi fondanti: la LUCE e il PROFUMO. Il primo è la base di quest’arte ed è portato con splendore dall’autrice, che già nel suo bellissimo nome (OMEN NOMEN), racchiude questa potente forza. Il secondo deriva dalla disciplina, cara a Lucia, degli olii essenziali. L’idea principale è che le emozioni e i momenti della vita abbiano determinati colori (luce) e odori (profumo). La facoltà poetica è in grado di tramutare in versi queste specifiche caratteristiche. L’opera di Lucia nasce, quindi, in due ambienti poetici predominanti: all’esterno nel cielo con i suoi colori, i suoi astri e l’alternarsi del giorno e della notte; all’interno nell’animo di Lucia, dove le stelle sono i suoi occhi, nel ciclo della vita. Questi due mondi sono un tutt’uno: “Mi piace quando le stelle/cadono nel cuore/e ti bussano dentro/Non quando aspetti/che cadano/dal cielo” (“11 agosto”). Insieme rappresentano il LOCUS in cui la poetessa trova e coglie quegli attimi che meritano di diventare eterni. La lacrima che sgorga sul viso e nell’anima di Lucia, allora, è la goccia che dà vita alla sorgente della poesia: “Le stelle/sembrano più vicine/e si agganciano/di scatto al cuore/Sui binari sospesi/di una lacrima/un vuoto distribuisce/il tempo/per accarezzare/i sogni/e pescare /attimi di eternità” (“Attimi di Eternità”). Il fine è trovare l’essenza di sé stessi e dell’esistenza. L’anima è viva solo se lascia tracce, come impronte nelle neve: “Affondare i piedi nella neve:/lasciare traccia e poterla vedere/Come prova di mia esistenza/e bisogno di gridare” (“Finestre Accese”). Ogni componimento è un’emozione, ogni verso solca la via. Gentilmente e dolcemente l’autrice affonda i suoi passi nella coltre bianca dell’esistenza per lasciarli visibili a chi viene dopo. Il cuore dell’opera è un pensiero sulla vita che prende forma dal dolore: “Fosti il primo corpo inerme/che i miei occhi videro/Il mio primo pianto esploso/Tra il profumo dei gigli/i perdevo per sempre..-/ Increduli tutti, sei andato via/Proprio tu./Quanto ti portasti, lo sai?/Voci felici, urlanti e mai stanche/Pareti allargarsi/Sugo dei pomodori tuoi/Tavole unite/per stare insieme tutti/come volevi tu” (“Profumo di gigli”). La poetessa, che vede l’immensità e che sente il profumo dell’eternità, raggiunge la consapevolezza dell’ ineluttabile: come le emozioni, anche chi non c’è più rimane per sempre nel nostro LOCUS! È vivo e visibile nei colori, è presente nell’aria che si respira: “Non è vero/che non ci sono più/quelli che muoiono/Rimangono intorno/ad ogni nostro spazio:/sulle scale ad aspettarci/in ogni stanza/con i loro passi/Rimangono in cucina/a sorseggiare il caffè… dirci:/Rimangono nello specchio/e li vediamo proprio lì:/nelle nuove rughe/e tra i capelli bianchi/Rimangono nella notte/dentro dimenticati sogni/nelle antiche coperte/e sul cuscino umido/Rimangono nel profumo/dei vestiti nostri…/Rimangono dentro/come cornici dorate/quelle poggiate sui comodini/della nostra Anima/accanto a boccioli di rosa/fragranti di Eternità…” (“Quelli che muoiono”). La fermata del bus, allora, è simbolicamente un posto eterno, dove imbarcarsi destinazione Vita, prossima tappa Paradiso: “Alcuni luoghi/rimangono eterni/ad un respiro abbottonati…/La stessa fermata è lì Immutata/come chi decide di non salire in Vita” (“La Fermata”). Per capire il messaggio che ci vuole trasmettere Lucia, possiamo richiamare i versi di Edgar Lee Master: “Molte volte ho studiato/la lapide che mi hanno scolpito:/una barca con vele ammainate, in un porto./In realtà non è questa la mia destinazione/ma la mia vita./Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;/il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;/l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti./Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita./E adesso so che bisogna alzare le vele/e prendere i venti del destino,/dovunque spingano la barca./Dare un senso alla vita può condurre a follia/ma una vita senza senso è la tortura/dell’inquietudine e del vano desiderio/è una barca che anela al mare eppure lo teme” (“George Gray”, Edgar Lee Master”). Lucia la sua barca l’ha spinta nel mare, i suoi occhi hanno visto il cielo e le stelle, il suo cuore ha provato dolore. Eppure dalla notte, dal profondo tormento del “non esserci” più, ha saputo tirare fuori l’essenza luminosa e odorosa dell’immensità infinita. Tutto ciò l’ha racchiuso nei suoi versi. Per il lettore, allora, seguire queste orme nella neve sarà come farsi guidare da una stella cometa, caduta nel cuore dell’autrice, essa lo guiderà in un mondo di luce e profumi dove la vita è per sempre.

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