Bevilacqua: “Perché il mio Panda poteva nascere solo con il digitale”

Intervista a Giacomo Bevilacqua creatore della striscia ‘Panda‘ e uno dei più noti fumettisti italiani
“Il consumo online è iper veloce e più effimero. La carta è un setaccio: quello di buono che passa può arrivare su un libro”

A Panda piace il digitale. Giacomo Bevilacqua è uno dei più affermati fumettisti italiani, creatore della fortuna striscia di “Panda”. Classe 1983, non è certo nato con un touchscreen in mano. Ma se gli chiedi cosa c’entra il suo lavoro con tablet e smartphone, si sorprende. Perché disegna, praticamente da sempre, senza toccare carta e inchiostro. Il suo foglio è un display. Certo, poi i suoi prodotti diventano libri. “Ho fatto una scelta”, dice. Ma non rinuncia alla comunicazione online. Sui suoi profili social, da buon fumettista geek, recensisce i dispositivi che utilizza. E tira fuori anche delle chicche, come alcuni screenshot delle conversazioni WhatsApp con Leo Ortolani e Zerocalcare. Lo abbiamo intervistato (non a caso) in occasione della presentazione italiana del Samsung Galaxy Note 8.

Nel 2008, quando è nato A Panda piace, era appena arrivato l’iPhone. Com’è cambiato il tuo lavoro in questi anni?
Mi sono formato su carta ma ci ho lavorato poco. Ho fatto il mio percorso senza guardarmi indietro, muovendo i primi passi con la tecnologia Wacom. Da quanto una penna mi permette di disegnare su un display, non sono più tornato indietro. Il passaggio al digitale è stato repentino, perché mi permette di assecondare la mia fervida produzione, anche di 40 pagine al mese.

Saresti stato lo stesso fumettista senza digitale?
Io ho bisogno di mettere le mie idee nero su bianco nel minor tempo possibile. Ad esempio, A Panda piace ha layout prestabiliti. Con il digitale posso fissare una striscia in quattro secondi, prima che l’idea voli via nei successivi quattro. In questo approccio di produzione immediata, la tecnologia mi ha salvato la vita.

Quindi niente carta. Ma quali sono i tuoi strumenti di lavoro?
Per i dispositivi che uso ho solo una regola: deve montare tecnologia Wacom. Lavoro su Samsung Galaxy Book da 12 pollici, con la S Pen da 4 mila livelli di pressione. Per colorare Cintiq Wacom da 22 pollici. Sul Tab S3 ho fatto layout del mio Dylan Dog (uscirà a novembre, ndr). Ma lavoro anche in ambiente Mac. Il mio lavoro esige standard particolari (come immagini in A3 da 600 dpi) che non consentono a nessun tablet di essere uno strumento professionale al 100%. Dispositivi come il Note possono essere una buona soluzione perché possono sempre servire una firma o una nota. Dalla mia prospettiva, di nicchia, vedo ancora un parco app professionali limitato, che non sfrutta appieno potenzialità allucinanti.

Bevilacqua: "Perché il mio Panda poteva nascere solo con il digitale"

Quanti fumettisti sono così tecnologici?
Ci sono ancora tantissimi puristi della carta. Più spesso si opta per delle vie di mezzo. Ad esempio facendo “matita” su pc o tavole grafiche, stampando e inchiostrando su carta. Per poi tornare al digitale. So che Gabriele Dell’Otto utilizza il digitale solo per i layout. È inevitabile: quando i lavori aumentano e le ore a disposizione restano le stesse, cerchi qualcosa che tagli i tempi morti. Prima si partiva sempre dalla carta. Per me è stato il contrario, visto che A Panda piace è nato su un blog.

Da dove arriva la passione per la tecnologia?
Sono sempre stato molto aperto. Esistono persone che, quando si trovano a loro agio, si accontentano. È una mentalità che capisco ma che non ho. Quando c’è qualcosa di nuovo, voglio provarla. Sono stato un early adopter di tutto, dalla Playstation ai tablet. Spesso ci ho preso fregature, ma resto curioso. Così è anche stato per i social. “Panda” è nato nel 2008, durante il boom di Facebook. E mi sono adeguato.

Per fare cosa?
Sui miei social, quando faccio un libro lo dico. Ma conosco il mio pubblico e non faccio spam. Cerco di dare contenuti esclusivi a chi mi segue.

Cosa è cambiato da Panda online a Panda stampato?
Il consumo online è iper-veloce e più effimero. La carta è un setaccio: quello di buono che passa può arrivare su un libro. Ma c’è una cosa in comune: la tecnologia è sempre presente. Che sia stato prodotto al volo o pensato per la pubblicazione, un fumetto passa sempre da una combinazione di 0 e di 1. E la cosa, un po’, mi spaventa.

Come mai?
Perché faccio una cosa che non vedrà la luce subito. Il mio Dylan Dog l’ho fatto nel 2015 e non è ancora carta. Fino ad allora, per me, è come se non esistesse. Prima avevi qualcosa di tangibile che si trasformava in qualcosa che lo era altrettanto. Oggi l’intangibile diventa oggetto. La tecnologia ha cambiato la percezione del processo creativo.

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Ma serve ancora la carta per la consacrazione…
Oggi c’è una gara alla ricerca di chi ha più Like. Penso però che su Internet puoi essere chi ti pare, ma è sulla carta che dimostri il tuo valore. È un altro terreno di gioco. Sul web le strisce si trasformano in meme. Per me il fumetto su carta e quello online percorrono strade parallele.

Sarà sempre così?
La cultura dell’oggetto è malleabile. Io ce l’avevo per i libri, ma mi è passata appena ho toccato un Kindle. Il fumetto, però, è diverso. Te lo compri e lo metti in libreria. E non credo che questo cambierà, perché le persone hanno bisogno di un prodotto esclusivo. Adesso, ad esempio, vanno molto le variant cover (edizioni con copertine differenti, ndr). È una tendenza che fa capire che tipo di pubblico è quello dei fumetti: il vero appassionato vuole che tu riconosca la sua passione e lo premi. È vero, online puoi contattare l’autore direttamente, ma il legame non sarà mai così forte.

di Paolo Fiore, Agi.it

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