Quella mattina di novembre, dopo un risveglio precoce, guardando la luce dell’alba, mi venne il desiderio di sfogliare quel faldone in cui negli anni avevo conservato le poesie, o meglio quello che io definivo, la mia poesia. Decisi di trovare, finalmente, il coraggio di esporre di dichiararmi al mondo e cercare un editore. Ero nel mezzo del cammin di nostra vita. Nel faldone, ho trovato poesie composte in tempi andati, che mi hanno spinto a comporne altre, in un meccanismo di riproduzione, di tautomerismo che scattava chimicamente e fisicamente alla rilettura di ciò che avevo scritto in tempi ormai lontanissimi: da qui il titolo. Mi è sembrato che nell’immagine degli alberi sdoppiati, e floridi di verde, si concentrasse questa sorprendente alchimia. Testi antichi si trasformano in testi nuovi nel fluire delle emozioni che risorgono e si ricompongono nella scrittura.
Ho pensato, nella ricerca di pubblicare le mie poesie, di svelarmi, mostrando la parte essenziale di me che è lì da tempo. È lì da tempo alimentata e raffinata dal continuo incontro coi pazienti, con le loro storie che diventano anche le mie storie in un amalgama direi quasi perfetto. Pazienti particolari sono stati i feti nel grembo materno, prova vivente della forza del cammino evolutivo dell’uomo, pronti ad ascoltare la voce umana e a imparare da essa come avere un punto di riferimento nel mondo esterno nella ricerca dello sguardo che ti accoglie e ti protegge.
Molto azzeccato l’associazione commento iniziale di Massimo Gherardini, che cita Emily Dickinson, che insieme a W. Whitman, in lingua originale, sono stati i miei due autori di riferimento. La mia poesia preferita nella raccolta è Dicembre 1997.