Interviste d’Autore – Alice Benini

Nella sua nota biografica scrive di avere un “desiderio di giocare sempre con le parole, le pause, gli spazi bianchi”. Quando ha iniziato a sentire questa aspirazione?

“Ho iniziato a scrivere molto presto, da bambina, ricordo infatti che sia la lettura che la scrittura erano passatempi ai quali mi sono accostata quasi subito, da quando ho memoria. Ho iniziato con testi la cui intenzione era di stampo poetico, per passare alla narrazione di brevi racconti, per tornare infine – e per ora – ancora alla forma poetica, anche se non mi piace definire i miei testi delle vere e proprie poesie, li reputo infatti più dei pensieri estemporanei, delle fugaci immagini scritte o al massimo delle suggestioni poetiche che non ardiscono a definizioni più nobili. Inizialmente il mio processo creativo si è rivelato più che altro un esercizio intimo e personale, non pensato per la lettura di terzi, né tantomeno per la pubblicazione; mi sono dilettata soprattutto con la prosa, partecipando a qualche concorso quando ero ancora una ragazzina, ottenendo buoni riconoscimenti, ma vedevo la pratica della scrittura come un sogno di difficile realizzazione, inoltre non volevo perdesse quel senso di spontaneità e di piacevolezza che l’accompagnava. Poi per lungo tempo, una decina di anni circa, mi sono occupata di scrivere e raccogliere con regolarità i miei sogni notturni e anche questa è stata una fase di scrittura molto più autoreferenziale e personalistica che mi ha, tuttavia, impegnata in un modo meravigliosamente furioso regalandomi consapevolezze tutte mie e grande divertimento. Dopo anni di profusioni di parole e pagine scritte ho virato bruscamente per una modalità più ermetica, accompagnando varie fotografie a miei testi, approdando infine alla poesia vera e propria anche se non strutturata e priva di una metrica codificata, dove invece le parole e le pause si rincorrono alla velocità dei pensieri e dove il senso e gusto poetico si giocano soprattutto nelle rincorse delle assonanze e delle consonanze. Solo negli ultimi anni ho deciso di aprire questo spazio nascosto del mio mondo e del mio modo di sentire la parola inseguendo il desiderio di raccogliere i miei scritti in una veste più artistica di quella nella quale sono nati, riconoscendo loro la possibilità e la dignità per entrare in un libro.”

Alcuni versi di una sua poesia recitano “(i versi) sono nati nel dolore e nel buio sterile e indietro mi hanno restituito sempre quel buio”. Dunque per lei la scrittura non è catartica al punto da essere cura per i propri dolori?

“La scrittura è sicuramente catartica, ma proprio perché lo è assorbe quel dolore dal quale è scaturita, lo intrappola e lo trattiene a sé, restituendolo ogni volta che si fa parola e la parola lettura. In questo si può dire che la scrittura è cura, ma non si svuota mai del suo carico, se lo facesse resterebbe muta e senza avere più nulla da dire. Invece l’emozione lì scolpita resta avvinghiata alla parola e racchiude nei versi tutta la sua potenza salvifica ma anche veritiera e dolorosa, credo non possa essere diversamente: la poesia suscita e vivifica ciò che racconta. Io non so guardarla con distacco o senza trasporto. I miei versi, a differenza della mia prosa, sono nati spesso dentro i miei stati d’animo più bui e tormentati, nelle mie notti insonni e piene di ansie, durante i momenti di dolore più acuti che non avevano altra via se non quella della scrittura per essere espressi e sopportati. In questo la scrittura è magicamente catartica, in quanto su di essa puoi riversare tutto il mare che ti si agita dentro sapendo che la carta in qualche modo lo assorbe e lo placa, la sofferenza trova allora uno spazio nel quale consumarsi. Per me è stato così, ma cerco di non rileggere quasi mai quello che scrivo, o solo di rado, perché nel farlo ritrovo parole cariche di tutti i motivi e gli stati d’animo che mi hanno portata a scriverle.”

Due poesie hanno il titolo “Insonnia”. È la notte il momento in cui scrive i suoi testi?

“La notte è il momento in cui le parole si affollano maggiormente nella mia testa, non necessariamente scrivo di notte, a volte prendo solo appunti che poi hanno bisogno del giorno per essere riordinati e trovare un senso vero e proprio, ma qualche volta è capitato. Quando questo è successo al risveglio non avevo quasi memoria di quello che avevo scritto e questo generava in me molto stupore. La notte regala una scrittura molto istintiva e molto viscerale, fin troppo onesta. Due poesie hanno il tiolo Insonnia perché l’insonnia ha occupato molto spazio nelle mie notti, richiedendo molte energie; ho combattuto con la fatica di dormire per molto tempo e raccontare questa fatica per me è stato il miglior modo di affrontarla e proprio come si diceva prima questo è stato molto catartico.”

Si è mai confrontata con altri generi letterari oppure si è dedicata sempre e solo alla scrittura poetica?

“Ho scritto brevi racconti, per lo più nati per occasioni particolari e per concorsi letterari, di vario genere. Ho scritto alcuni testi che accompagnavano le fotografie di amici durante mostre e che sono stati lo spunto per letture teatralizzate. Non mi sono ancora cimentata con un romanzo vero e proprio, ma le idee sono tante e nel cassetto ho da anni un lavoro cui sono molto affezionata che magari prima o poi vedrà la luce, chi lo può sapere?!”

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