Nella nota biografica afferma di essere maturato poeticamente frequentando il poeta Carlo Invernizzi e l’artista Sergio Dangelo. In che modo queste personalità hanno influito sulla sua produzione poetica? Quali insegnamenti le hanno trasmesso?
“Invernizzi e Dangelo sono stati per me soprattutto due maestri di vita. Carlo Invernizzi era riservato e di poche parole che sapevano però scavarti nel fondo dell’anima. Sergio Dangelo era un fiume in piena, l’ultimo dei surrealisti del terzo convoglio. Due personalità totalmente differenti, ma come diceva sempre Dangelo: L’indifferenza è noia e la differenza è poesia. Il più grande insegnamento che mi hanno lasciato, ognuno in maniera diversa, è l’anelito a non soffermarsi mai all’apparire delle cose ma a cercarne il senso vero nascosto, indagando sempre il confine tra visibile e invisibile, possibile e impossibile, realtà e
sogno.”
Di sé racconta che “scrive convinto che la poesia vada subita nell’ordinarietà della vita”. È possibile, quindi, affermare che la sua poetica nasce e narra di momenti di vita reale e personale? Può spiegare più approfonditamente questo suo concetto?
“Le mie poesie sono delle brevi storie e, sebbene l’aspetto realistico è quello che viene immediatamente percepito dal lettore, potrebbe valere quello che Boris Vian scriveva nell’introduzione al romanzo “La schiuma dei giorni”: La storia è interamente vera, perché io me la sono inventata da capo a piedi. Le poesie che scrivo, pur avendo certamente una qualche base nella mia esperienza personale, sono nella maggioranza dei casi frutto di invenzione. Mi spiego meglio, se colgo una situazione reale che mi sembra funzionare (ad esempio passeggiando, o al bar o alla fermata del tram) mi siedo e scrivo: ne traggo una storia possibile, verosimile e solo in un secondo momento sembra che intorno ad essa prenda forma una realtà vissuta con un susseguirsi di eventi oppure che i ricordi diano un senso reale, un colore (se ricordo bene fu Marcel Duchamp tra i primi a sollevare in arte il problema tra realtà e possibilità). L’uso di una realtà possibile o verosimile è dettato dal fatto che non mi interessa indagare
una realtà così com’è: gli aspetti realistici mi servono solo come veicolo per la narrazione di una condizione psicologica difficile e talvolta nascosta ma che va sempre oltre ciò che è raccontato, vorrei creare il presentimento che mentre si legge ci sia qualche cosa che sta accadendo altrove fuori dalla pagina, dalla vita reale, una sensazione di irrazionalità onirica.”
Cos’è per lei la scrittura, quale funzione assolve nella sua vita? Come è nata questa sua passione?
“La scrittura è per me una forma d’arte e la passione per la poesia nasce dalla mia passione
per l’arte. Quello che personalmente cerco nell’arte, e quindi anche nella poesia, non sono delle
certezze ma delle domande e soprattutto amo un’arte che sia abbastanza crudele, nel senso di crudeltà come la concepisce Antonin Artaud, da provocare turbamento interiore e disorientamento. Come disorientati e confusi sono sempre i protagonisti delle mie poesie, obbligati dalle circostanze alla ricerca di un nuovo modo di capire quello che stanno vivendo e quello che sta succedendo intorno loro e a loro malgrado, nella quotidianità di tutti i giorni. Ecco, disorientare per aiutare a trovare lo straordinario nell’ordinario del quotidiano, imparando a scavare sotto la superficie delle realtà: questo è quello che cerco nell’arte ed è anche il compito che vorrei la mia poesia assolvesse.”
Il suo genere di scrittura è solamente la poesia oppure le piace anche spaziare su generi
diversi?
Amo il racconto breve e come dicevo prima molte delle mie poesie nascono proprio dai racconti brevi che spesso scrivo quando creo le storie verosimili per ambientare le poesie stesse. Non credo ci sia da stupirsene, diceva Raymond Carver che la poesia è più vicina al racconto di quanto il racconto lo sia ad un romanzo.