Interviste d’Autore – Roberto Carletti

Nella sua nota biografica scrive: “Mi piacciono gli autori scomodi.” Può spiegarci chi sono e perché li definisce “scomodi”?

Si tratta di un giudizio personale che ho dato. Mi capita infatti, di definire ‘scomodo’ un autore che, per quello che ha scritto, o per l’esempio che ha fornito in vita, mi ha obbligato a guardare le cose da una prospettiva differente da quella avuta fino a quel momento. Non c’è una regola. Ognuno di noi, credo, possiede il suo autore che l’ha costretto ad uscire dalla “zona di confort”. Per me lo è stato Leopardi, col suo pessimismo cosmico che però nascondeva un indomabile, disperato amore per la vita. Mi sono molto riconosciuto in lui. Ma anche, paradossalmente, classici come Epicuro, Orazio, che mi hanno dato una scossa. Soprattutto a cogliere, nel tempo, un’opportunità e non qualcosa che si porta pian piano via tutto. Potrei anche citare la grande letteratura americana da Henry David Thoreau a Emily Dickinson, che hanno aperto la mia visuale dandomi una prospettiva avventurosa del reale, per poi scendere tra i più contemporanei da Pasolini a Leonard Cohen. La poesia di Jim Morrison. Non dimentichiamo i testi musicali! Anche italiani quali Fabrizio De André e Franco Battiato hanno accompagnato momenti importanti della mia crescita. Potrei citare altro. Sono stati scomodi per me, in momenti particolari della mia vita. Forse più che scomodi, dovrei chiamarli ‘evolutivi’, per come mi hanno dato la possibilità di scoprirmi sempre differente e più ‘in grado di’. Del resto, non è questo che fa la letteratura?”

I suoi componimenti sembrano avvolti intorno ad un’aura antica, fuori dal tempo. A cosa o chi si ispira quando scrive i suoi versi?

“Generalmente quando scrivo ho in mente una situazione, o una persona in particolare, magari in un particolare momento della vita, me compreso. Molti dei frammenti che ho scritto nascono in realtà da personaggi, che avevo in mente per dei lavori teatrali. Storie reali o identificative. Mi piace però espandere e trovare senso anche altrove. L’aiuto in questo caso può venire dall’esperienza di altri. Perché quello di cui parlo, l’emozione che descrivo, già altri probabilmente l’hanno sperimentata, in un contesto magari differente, a latitudine, in epoca e situazione differente.  Allora mi piace fantasticare e provare a trasportare l’emozione descritta in luoghi ‘altri’, e cercare in quel contesto un punto in comune con la storia che racconto. Così che queste emozioni, o personaggi, possano compiere una sorta di viaggio  attraverso l’incontro con se stessi anche “fuori da sé”. Un respiro che vorrei più universale.”

Ha iniziato scrivendo prima canzoni per poi approdare alla scrittura poetica. Quali sono le affinità o le differenze tra questi due tipi di scrittura? E lei quale preferisce?

“Partono entrambi da un punto di origine, che può essere un’idea o un emozione. O un personaggio, appunto. Di solito quando scrivevo, il mio testo veniva corretto e ritoccato per renderlo adatto alla frase musicale da eseguire. Nello stile “canzone” infatti, c’è attenzione alla metrica, perché ovviamente è un testo che va declamato secondo un ritmo e una melodia. Spesso poi i testi delle canzoni nascono dalla musica; da un giro di accordi ad esempio. La composizione di una poesia invece è generalmente più libera, perché tutto quello che deve arrivare al fruitore risiede nel testo. Può accadere anche  che una poesia divenga monologo per una rappresentazione visiva, per un prodotto di tipo filmico o teatrale, appunto. E allora anche in quel caso il testo deve essere adattato. Personalmente vado a momenti, in quanto a preferenza. Scrivere sul foglio senza doversi confrontare con altre componenti quali ritmo, melodia è più semplice, quindi lo faccio più spesso, ma direi che non c’è una preferenza. Anche perché in qualche modo ho sempre cercato di far evolvere quello che scrivo oltre il foglio di  carta. Ma non sempre riesce.”

Qual è il genere poetico al quale si sente più affine?

“Direi a quello dei cantastorie. Sia in musica che in poesia mi ha sempre affascinato raccontare vite o emozioni che vedo attorno. Scrivendo però, cerco di far ‘respirare’ il tema oltre il contesto da cui parte. Per questo il soggetto della poesia può risultare difficilmente individuabile. Questo perché tendo a proporre l’universalità di certe storie o situazioni. Se racconto per filo e per segno la storia di qualcuno, quella è la sua storia. Punto. Ma se la faccio respirare, se la traslo ad esempio per un istante in un’altra epoca, o un altro contesto, allora chiunque può cogliere una parte di se in essa. Si può partire anche dal solo suscitare un’emozione o una sensazione. Del resto, il significato di un testo, si sa, lo completa ognuno che legge.”

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