Interviste d’Autore – Vania Perale

“Prisma: Palcoscenico di tempo e vita” è l’opera che ha scelto di esporre. Come è nata? E quale riflessione l’ha portata a far nascere questo dipinto?

“L’opera è nata come tutte le mie opere, ovvero nascono da dentro, senza molte riflessioni e in maniera spontanea. È un’opera che man mano che la dipingevo mi nascevano queste figure geometriche che mi ricordavano i prismi, figure che riflettono la luce. Questi prismi ti danno l’opportunità di colorare la luce che è invisibile. I colori poi esprimono i sentimenti come ad esempio il rosso che significa amore, giallo gelosia e verde speranza, visto che la vita si dipinge con colori positivi e non negativi. Tuttavia anche se a volte i colori sono negativi, si può sempre avere l’opportunità di trasformarli in positivi, visto che la vita è un palcoscenico da vivere e da recitare sempre con buoni propositi.”

Nella sua nota biografica scrive: “Dipingo per raccontare la mia vita su tela.” Cosa c’è della sua vita nell’opera? E cosa vuole raccontare allo spettatore?

“Nella mia opera della mia vita c’è il colore, il colore della positività, della speranza, il colore del bianco, bianco pulito, bianco che copre tutto. Il bianco vince sopra il nero nella mia filosofia di vita, per cui il bianco copre la negatività, e i colori positivi significano il messaggio di andare avanti sempre. Il prisma, questo oggettino bianco e trasparente, se messo sotto una giusta prospettiva di luce, ti mostra, sotto tutte le sue sfaccettature colorate, vuol dire che la vita val la pena di essere vissuta sempre e comunque.”

È una pittrice per passione. Come è nata questa inclinazione artistica? Ha fatto un percorso completamente da autodidatta oppure ha seguito anche dei corsi?

“Sono una pittrice per passione. Nasce fin quando ero piccola, e quando mia mamma mi prendeva i cartelloni iniziavo a disegnare i cartoni animati di allora. Il mio percorso scolastico – anche se iniziato – per varie vicissitudini familiari ha dovuto arrestarsi fin da subito, ma la passione mi è rimasta dentro. Ho seguito poi un corso a Mestre – città dove abito – nel 2005, con un professore dell’Accademia delle Belle Arti. Ho dipinto, e lì ho imparato a maneggiare i pennelli e ad utilizzare la materia in tutte le sue forme. Con la malattia di mio papà, ho fatto una promessa al suo capezzale, e cioè che avrei ricominciato a dipingere, visto che mio papà ci teneva moltissimo, ed è stato lì che ho avuto l’intuizione. Infatti, all’inizio ero più propensa a dipingere osservando figure esterne in generale e a riportarle, ma non avevo mai espresso la mia anima e il mio sentimento, cosa che ho cominciato ad esternare nelle mie opere d’arte.”

“Eternità” è invece l’opera che ha presentato in Galleria a gennaio. Ci sono delle differenze nella realizzazione di queste due opere? Si sente “cresciuta” da un punto di vista artistico? 

Eternità – ed è uno dei miei primi quadri che rappresentano il percorso della malattia di mio papà – che si può appendere a casa, rimanendo ore ed ore ad osservarlo sorseggiando un buon thè che non stanca mai e che rilassa. L’ho fatto pensando alla fine del percorso della vita che ogni persona raggiunge e questo quadro lo sento molto emotivamente. È la mia prima stesura da autodidatta della foglia d’oro, promessa che avevo fatto a mio papà, nonostante non avessi mai studiato in ambito di oreficeria e di gioielleria. Uso la foglia d’oro molto spesso nelle mie opere. Ogni opera d’arte mi da la possibilità di crescere, una crescita spirituale, interiore, così come l’opera “Palcoscenico di tempo e vita” in cui il tempo finisce sempre, e nella sua fine hai finito il tuo palcoscenico, ma dove ti sposti spiritualmente verso un altro palcoscenico e verso dei colori più belli.”

Prima. Palcoscenico di tempo e vita
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