Interviste d’Autore – Raisa Rosca

Nella sua nota biografica scrive “inizia a creare favole educative e raccontarle ai bambini della scuola materna a Chisinau, in questo progetto sono coinvolti esperti della Rutgers University (SUA).” Può spiegarci meglio come è nato e come si è svolto questo interessante progetto?

“Sì, ho iniziato a creare favole nel terzo anno di studio al Università Statale della Moldavia, facoltà di Lettere, quando aderito al corso “L’ermeneutica della fiaba”. L’idea era di creare nuove storie innovative, ove il protagonista è presente adesso e oggi, che non inizi con: “C’era una volta”. Era il 2005, l’anno di Harry Potter. Affascinati da questo modello: il bene vince il male, insieme al nostro professore abbiamo sviluppato il progetto per trasmettere attraverso la fiaba i valori del bene, della responsabilità, dell’amore. Le storie scritte, inedite, le presentavo sul territorio, andando nella scuola materna “Il raggio del Sole”, Chisinau, che ha condiviso con noi le stesse idee innovative del progetto. Ogni mercoledì raccontavo, insieme ad altre due colleghe, le mie storie ai bambini e loro aspettavano la nostra presenza. Il progetto si è concluso con la presenza dei esperti della Rutgers University nella scuola materna, hanno assistito al nostro lavoro con i bambini, ascoltando le nostre storie con forte impatto educativo, hanno preso parte ai giochi di squadra e collaborato con idee e consigli. È un ricordo molto caro, ancora oggi, perché loro hanno incoraggiato la nostra iniziativa di creare un tipo di fiabe diverse in quei tempi.”

Non scrive solo favole ma anche poesie: qual è la vera grande differenza tra questi due generi? E lei, quale preferisce?

“È vero, scrivo favole e poesie. Non ho mai dubitato che la pena è la mia migliore amica. Così accade che dall’età giovanissima ho iniziato ha confidarmi con la pena e la carta. Dalle medie scrivo poesie: amore, natura, mamma… Diciamo che per la sua forma corta, la poesia, ha fatto sì che io possa scriverla su qualsiasi pezzettino di carta: bordi di quaderni, fogli degli appunti, post-it, in qualsiasi luogo mi trovassi, posso scriverla anche camminando… Mentre la favola chiede, a me, un luogo fermo, una struttura di ciò che voglio trasmettere attraverso essa, dei personaggi pronti con una battuta che porti il messaggio del valore umano e il rispetto in varie vicende, anche meno piacevole. Se i sentimenti che condivido sulla carta sono di scatto, patos, in rima e sento le parole a suon di musica, non c’è dubbio che scrivo una poesia. Così come la tranquillità mi fa creare una favola con un messaggio costruttivo. Siccome mi ritrovo in tutte e due le situazioni, non ho preferenze, ambedue: favola e poesia, sono parte di me.

Il racconto “Ricciocel diventa grande” ha una morale: “Tutto nella vita deve fare il suo percorso naturale. Ogni cambiamento ha il suo tempo.” Si riferisce ad una particolare esperienza di vita vissuta? 

“Ricciocel è uno di noi. La fretta di crescere, di pensare che sappiamo tutto e immediatamente, di stancarci ad ascoltare chi sa di più… Tutto ciò fa parte del normale comportamento dell’essere. Sono stata più di una volta Ricciocel, nella mia vita: delusioni, aspettative, fiducia, amicizie, ingenuità, tutte hanno accompagnato la mia crescita. D’altronde l’esperienza fa maturare. Il ruolo dell’adulto: bisogna sempre attenzionare i “Ricciocel” che dietro all’angolo possono trovare delle sorprese meno carine e che ogni cosa ha bisogno del suo tempo e spazio.”

La scrittura è parte integrante della sua vita. Potrebbe immaginarla senza la possibilità di scrivere? Cosa comporterebbe questo per lei?

“Non posso immaginare la mia vita senza scrivere. Lo farei con gli occhi, la voce, a ritmo di ballo, in qualsiasi modo, ma scriverei lo stesso. Scrivere, per me non è un semplice verbo, è fonte di vita di cui mi nutro. Ho nel cassetto quaderni interi, schede, chiavette, fogli con annotazioni nei libri che leggo, nella borsa, in macchina. Se arriva una parola a me, non me la lascio sfuggire, capita di iniziare subito a darle forma anche nella cartella delle note del cellulare. Non scrivere vorrebbe dire, per me, che non sento più nulla.”

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