FRANCESCO PETRUZZELLI

IO SCRIVO IN NOME DI QUEI CUORI IMPAVIDI CHE AFFRONTANO LA MORTE

Ogni artista ha il suo MOMENTUM, il CARPE DIEM latino, il KAIROS greco. L’attimo esatto in cui dalla roccia del proprio cuore, nasce la sorgente della poesia. L’ora in cui qualcosa di magico, di vivo, si associa al “fluire” delle emozioni e degli eventi. È questo il tempo in cui cadono le proprie maschere e l’uomo vecchio lascia spazio al nuovo, rinascendo come poeta! L’ars poetica di Francesco Petruzzelli ha il suo MOMENTUM nell’Attentato alle Torri Gemelle del 2001: “La morte aveva le ali/in quel nefasto giorno/e si schiantava/esplodendo/tuonando/in una coltre di fumo nero./Ancor per poco/torri fumanti/si innalzavano/come salici piangenti…/Sacrifici consumati/in nome di pochi/aprono la strada/all’ignoranza,/alla paura,/alle guerre del futuro/Il freddo vento/tagliente come coltello/ha squarciato/l’umanità,/scolpita nel plenilunio/spettrale/scialbo/grondante di fantasmi…” (“11 Settembre”). Questo evento drammatico apre nel costato di Francesco una ferita, dalla quale, come da quello del Cristo, escono sangue e acqua. Il sangue è il dolore che prova per l’umanità colpita e distrutta dalla guerra. L’acqua sono i versi della poesia, nobili e nobilitanti, tramite i quali è possibile guarire e cercare di mutare l’odio in amore. L’uomo diviene poeta e questa è la sua missione: portare PACE fuori e dentro sé. Per rispondere a questa vocazione e grido interiore, il primo passo è spogliarsi di tutto, mostrare la propria anima, la pura essenza, anche se il prezzo da pagare per la “libertà” è alto. Francesco si denuda del proprio io, del superfluo mondano, come San Francesco, quando si sveste di tutto e restituisce le ricchezze al padre, proprio dopo aver vissuto le oscenità della guerra: “Sulla piazza di Assisi, davanti al vescovo e ai suoi concittadini, Francesco rinunciò ad ogni suo diritto di famiglia, si spogliò di tutto e restituì al padre, non solo tutto il denaro, ma anche i vestiti, dicendogli: – Fino ad ora ho chiamato te padre, da questo momento chiamerò padre soltanto Dio! -…Con questo atto, Francesco conquistava la vera libertà” (“Vita di San Francesco”). Il poeta, imitando il santo, corona un atto eroico, si lancia come andando nudo e senz’armi in battaglia, rivestito solo dell’ars poetica: “Ho abbandonato la maschera/nel mezzo della recita/e il palcoscenico/s’è tinto di porpora/mutato/in un campo di battaglia,/la battaglia del guerriero/senza corazza, senz’armi/ignudo…/e inizia/la scalata verso la superficie/con il mio spirito/vestito di poesia” (“Giù la maschera”). Per raggiungere e trovare la PAX, il poeta deve prima sconfiggere la morte. Scandaglia, allora, un’altra grande ferita dell’umanità: la bomba atomica. La dolce acqua della poesia bagna quei luoghi seccati e inariditi dalle esplosioni: “L’ordine rimase invariato/in quel giorno fatale/l’ordigno fu sganciato./Una grande esplosione/un immenso boato/nel baratro della compunzione,/l’umanità hanno trascinato./Hiroshima…” (“Hiroshima”). “Il secondo bombardiere/sfrecciò nel cielo/col fine di lanciare/un altro ordigno nucleare./Un triste silenzio/regnava/nel fumo livido e lattiginoso: cumuli di macerie/celavano corpi senza vita/in un deserto spaventoso./Nagasaki…” (“Nagasaki”). Eppure, purificandola, il poeta è capace di cogliere anche in questa “fine del giorno” della Storia, una nuova alba: “E il mio maestro mi insegnò a trovare l’alba dentro l’imbrunire” (F. Battiato). In questo caso il maestro è dichiaratamente Ugo Foscolo: “Forse perché della fatal quiete/Tu sei l’imago a me sì cara vieni/O sera!” (U. Foscolo), ed in Francesco la sera è il crepuscolo: “Arcano è il crepuscolo/nell’estremo confine,/fulvo ambasciatore/d’una fiera solitudine,/mi trascina/col suo livore/tra angoscia e orgasmo…/,ove lento/è il battito nel petto…” (“Crepuscolo”). Francesco poeta e uomo getta, allora, un seme di speranza in questa fine: la forza vitale della poesia. Essa evita che tutto svanisca, vincendo la Morte: “La fine è il mio inizio” (T. Terzani”). Dai versi dell’autore germoglia un fiore luminoso, che illumina la notte come un faro. L’ars poetica fa maturare un frutto splendente che diviene un nuovo sole: la Bellezza. Essa torna a pulsare come un cuore appena nato. Il Mondo e l’Anima possono nuovamente nutrirsi e dissetarsi: “Facendo piovere versi/sul seme celato dell’anima/accade il suo germogliare silente,la comprensione si propaga/oltre la materia/aulendo la fragranza dei fiori/ammirando immensi paesaggi virenti/la bellezza finalmente può pulsare” (“L’arte della bellezza”). Le poesie di Francesco (omen nomen) sono una lezione, un messaggio incredibile di pace: “L’unica rivoluzione che serve, quella dentro di te. Le altre le vedi. Le altre si ripetono, si ripetono in maniera costante, perché al fondo c’è la natura dell’uomo. E se l’uomo non cambia, se l’uomo non fa questo salto di qualità, se l’uomo non rinuncia alla violenza, al dominio della materia, al profitto, all’interesse, tutto si ripete, si ripete, si ripete.” (T. Terzani). Di fronte alle catastrofe, al male, a Thanatos, non bisogna mai arrendersi perché la luce è più forte del buio: “Io scrivo/in nome dei cuori impavidi/che affrontano la morte…” (“Scrivo”).

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