Antonio Moreno Saivezzo

“CI SARÀ UNA VOLTA” VENEZIA

L’artista Antonio Moreno Saivezzo tratta un tema originale: la demitizzazione di Venezia. Apparentemente, assistiamo nelle sue opere a una futuristica e ironica distruzione della “Città Lagunare”, con uno stile artistico contaminato da Magritte e Dalì. Mani giganti escono o affondano nell’acqua, incombono sui palazzi e sui monumenti. Lampadine immense, richiamo ironico e futurista ai souvenirs per turisti, come imponenti palle di vetro contengono altri paesaggi della città. Il mare burrascoso fa da cornice a monumenti che crollano o ne presagisce l’imminente fine apocalittica. Una distruzione del mito più che apparente. Ma è davvero così? C’è dell’altro dietro? Cosa è esplicito e cosa è implicito? Per il mito dobbiamo rifarci non solo al classicismo e al romanticismo ma anche a Pound e D’Annunzio. Per la sua demolizione invece dobbiamo riferirci a Marinetti. Ezra Pound dopo cinque visite avvenute negli anni precedenti, nel 1908 torna a Venezia, da lui detta “The City of Aldus”, dove pubblica la sua prima raccolta di poesie: “A lume spento”. La città gli dà nuova forza: “Sorgono poteri antichi e a me ritornano/Grazie al tuo dono, o sole veneziano”, tanto che decide di stabilirsi nella Laguna. D’Annunzio fu il vero e proprio amante di Venezia: la ” Città di Vita”, luminosa e pervasa da uno spirito vitale così intenso da influenzare la sfera emotiva. Il Vate ne completò l’idea romantica e ne accrebbe a dismisura il mito. Eppure l’evento programmatico per Antonio Moreno Saivezzo avviene l’8 luglio 1910, quando furono lanciati volantini dai poeti e dai pittori futuristi dall’alto della Torre dell’Orologio sulla folla che tornava dal Lido. Così cominciò la campagna che i futuristi sostennero per tre anni contro la Venezia passatista. Il manifesto diceva: “Noi ripudiamo l’antica Venezia estenuata e sfatta da voluttà secolari, che noi pure amammo e possedemmo in un gran sogno nostalgico. Ripudiamo la Venezia dei forestieri, mercato di antiquari falsificatori, calamita dello snobismo e dell’imbecillità universali, letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per cortigiane cosmopolite, cloaca massima del passatismo. Noi vogliamo guarire e cicatrizzare questa città putrescente; piaga magnifica del passato. Noi vogliamo rianimare e nobilitare il popolo veneziano, decaduto dalla sua antica grandezza morfinizzato da una vigliaccheria stomachevole ed avvilito dall’abitudine dei suoi piccoli commerci loschi. Noi vogliamo preparare la nascita di una Venezia industriale e militare che possa dominare il mare Adriatico, gran lago Italiano. Affrettiamoci a colmare i piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi. Bruciamo le gondole, poltrone a dondolo per cretini, e innalziamo fino al cielo l’imponente geometria dei ponti metallici e degli opifici chiomati di fumo, per abolire le cure cascanti delle vecchie architetture”. Di questo volantino si serve Antonio Moreno come base (almeno apparente) delle proprie pitture. LAMPADINE/PALLE DI VETRO. Nell’opera: “Qualità della Sostanza”, una grande mano di donna con lo smalto rosso esce dal Ponte dei Sospiri con una lampadina in mano. La lampadina ha all’interno un paesaggio montano. Doppia irriverenza di Antonio. Riferimento al manifesto futurista: “Venga finalmente il regno della divina Luce Elettrica, a liberare Venezia dal suo venale chiaro di luna”, ma anche stravolgimento del finale. Nella lampadina non c’è la città industriale auspicata da Marinetti ma un locus amoenus alpino alla Heidi. La Lampadina torna in “Allegoria del Movimento”, stavolta volante su un mare burrascoso. Sempre a mo’ di souvenir ha all’interno il Ponte di Rialto e una immagine-cartolina della città. Sulla parte superiore il vetro si crepa e le schegge si trasformano in uccelli. Eppure il mare in tempesta non richiama il “Viaggiatore sopra il mare di nebbia” del pittore romantico Caspar David Friedrich? Nuova ironia? O semplicemente il movimento di Venezia e del mondo dell’arte e non solo dal romanticismo al futurismo? IL CAMPANILE. Come premessa c’è l’importante evento storico dell crollo del campanile di S. Marco il 14 luglio 1902. Le macerie furono gettate in mare. Il Campanile fu ricostruito, non senza polemiche, “Dov’era e com’era”. Nel quadro: “La proporzione del carattere”, il campanile “paron de casa” crolla nel mare. O forse sono le macerie gettate dai veneziani dopo la distruzione? Nell’opera: “Il Dissidio”, il campanile crepato si erge su uno scoglio con le fondamenta in forma di radici. Riferimento certo al duello storico sulla necessità o meno della ricostruzione. Allusione invisibile e implicita al fatto che il campanile rappresenti una solida radice. Singolare che un crollo e una ricostruzione siano già avvenuti nella realtà e nella storia. Eppure, simbolicamente l’autore, pur avendo in apparenza mostrato un’apocalisse distruttiva o comunque un’intenzione disgregativa, si arrende all’evidenza e ai propri sentimenti. Venezia, pur demolita, sarà ricostruita “Dove e Come era”, come il suo campanile. Tanto nella realtà, come nel cuore e all’interno dell’artista. Per assurdo nel mare giace il vero, vecchio e mitico campanile, mentre quello nuovo ne ha assunto nel tempo la stessa miticità. La città è un insieme di “Esperienze Assimilate”, di “Apparenti Molteplicità”. Vita e Morte, Amore e Odio, apertamente e inconsciamente, sotto e sopra il mare. Venezia ha “Il potere di contenere” tutto: la potente Repubblica Mercantile, Bisanzio, San Marco, Le gondole, la Città Romantica e degli Innamorati, Il Ponte dei Sospiri e di Rialto, Il Leone, La Giudecca, San Michele, Burano, Murano, i mosaici, l’Isola dei morti e degli Armeni, i dipinti, Torcello, le Calli, Il Casinò, La Fenice, il Caffè Florian, Zola, Hemingway, la prigione, i velieri, Thomas Mann, Patricia Highsmith, i merletti, i vetri soffiati, l’acqua alta, il vaporetto, le donne, i palazzi, le maschere, il doge, Vivaldi, Goldoni, Casanova, Marco Polo, gli uccelli, William Turner. I quadri “Che confusione” e “La comprensione della verità” riportano parte di questi elementi: Il leone, il palazzo, il mare, la luce dei lampioni (elettrica?), una rosa rossa gigante, un violino, un disegno della città, un globo fra le mani con terra all’interno. Tra sommerso ed emerso, Antonio gioca con un ultimo scherzo artistico: Ezra Pound, come Virgilio, in un momento di depressione stilistica voleva gettare nel bacino di San Marco la sua opera per demolirla. Così Antonio in “Il Movimento della Vita” pone una grande mano nell’atto di distruggere la Basilica di San Marco. Simbolicamente è un atto meditativo di distruzione della sua arte. Infine, che ciò sia avvenuto o no, si riparte da una dolce e romantica “Venezia in fucsia”. Viene in mente una frase famosa: “Cento profonde solitudini formano insieme la città di Venezia – questo è il suo incanto. Un’immagine per gli uomini del futuro.”(Friedrich Nietzsche). Ed è per questo che dopo aver osservato le opere di Antonio Moreno Saivezzo, stravolgendo l’incipit delle favole, potremo affermare che: “Ci sarà una volta Venezia…”

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