Bazart Special Edition – Giuliano Battistelli

Se dovesse descrivere in una sola parola la sua produzione fotografica, quale sarebbe e perché?

“Per dirla in una sola parola definirei la mia produzione fotografica un VIAGGIO. Questo mio viaggio fotografico, non so esattamente dove mi porterà, non ne vedo una fine in prospettiva. Sono alla ricerca della luce, quella bella, che non illumina soltanto il paesaggio, ma che possa illuminare anche la mia anima e che mi faccia stare bene in quel momento e non solo… tutto il resto è una conseguenza. Fotografo per me stesso e certe volte mi accorgo che “scatto fotografie” anche senza avere la fotocamera tra le mani, ma sogno di realizzare comunque quell’immagine. Tutto è nella mia mente, quella luce particolare che osservo, non si fermerà mai “imprigionata” da un sensore o da un altro supporto fotografico, ma vivrà per sempre nel mio cuore e nella mia memoria.”

I suoi scatti sono frutto di un momento, oppure c’è una ricercatezza e un attento studio del soggetto (in questo caso di paesaggi naturali) prima di procedere?

“Dietro ogni scatto c’è una storia, una preparazione, un’esperienza, un dover pianificare affinché l’immagine sia conforme al progetto che ho ideato. Intendo dire che chi guarda la foto finita, non sa che per realizzarla, ci sono volute più sessioni fotografiche o magari diversi sopralluoghi. Di rado è buona la prima! Senza parlare della post produzione, (anche lì una bella gatta da pelare), ci lavoro fino a quando non ne sono pienamente soddisfatto del risultato. Ricerco le buone occasioni per fotografare, in ogni luogo dove mi conduce la vita di ogni giorno… poiché il “bello” se si osserva bene lo si trova dappertutto. Se pianifico un’uscita fotografica e scelgo un posto diverso per fotografare, lo faccio perché ho voglia di fare qualcosa di nuovo, magari per provare nuove emozioni. Altrimenti se è necessario torno nel luogo dove ho lasciato in sospeso un progetto da perfezionare o da portare a termine, ma solo se il momento è adatto allo scopo, altrimenti aspetto e faccio altro. In definitiva qualsiasi foto che io possa mostrare, inevitabilmente racconta di me e del mio essere autoriale, indipendentemente dal mezzo usato per fotografare. Si sa da sempre, che la fotografia è anche un linguaggio.”

Nella sua nota biografica dice che la prima macchina fotografica l’ha ricevuta all’età di nove anni. Ricorda ancora la prima fotografia che ha scattato?

“Sì me la ricordo eccome. Ero nell’aia di casa, dietro di me zio Aldo mi aiutava a tenere la macchina
fotografica in maniera corretta… (mi pare di sentire ancora la sua voce, che mi sussurrava all’orecchio sul da farsi). Stavo inquadrando a bordo dell’aia, un prato d’erba soffice dove si stava giocando una partitella con un pallone di fortuna. Una volta stabilita la giusta posizione da tenere come “fotografo”, inquadratura ok, macchina in bolla… così finalmente premo il pulsante di scatto! Era il mio primo “Click”, ne ricordo il rumore quasi poetico, che non dimenticherò mai e lo porterò per sempre nel cuore.”

Tra queste opere quale sente che la rappresenta al meglio e perché?

“Ad oggi rispondo senza dubbio il “Cuore del Lago”, lo affermo con certezza, per me è stata una foto “galeotta”. Mi ha fatto conoscere un pochino meglio al pubblico che ha la bontà di seguirmi e che spero sia sempre più numeroso. Nella foto c’è un misto di forme, colori, sfumature e simboli, dunque ci sono tutti gli ingredienti composti tra loro. Le domande che si pongono i visitatori durante mostre sono le più disparate, ma tutti si chiedono se la pianta è proprio cosi naturale e con questa forma particolare… la Natura si sa, può essere imprevedibile talvolta, ma non in questo caso… (viene appositamente potata dal mio amico Fabiano 4.0). Il cuore è un simbolo molto potente, rappresenta l’Amore e anche la Dolcezza. Questo “Cuore” appartiene al lago, immerso nei colori tenui all’alba di un nuovo giorno. Lo stesso lago che rispecchia o per meglio dire, custodisce i riflessi dei monti e le sfumature del cielo, che virano dall’azzurro al giallo, passando per il rosa misto al magenta. La panchina vuota è un invito a sedersi, per godere della scena, magari per fare un viaggio immaginario attraverso la luce, restando sospesi tra sogno e realtà. La Pace e la Quiete di questo luogo, ci portano inevitabilmente a riflettere… meglio ancora se ci possa fermare per meditare.”

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