Life’s photo di Francesca Gherro

Da dove nasce l’intenzione di pubblicare una sua personale raccolta di fotografie?

“Fin da piccola ho avuto la passione per la fotografia e da circa vent’anni scatto per immortalare ciò che mi circonda e che mi colpisce. A forza di scattare ho accumulato una enorme raccolta di immagini la cui qualità è migliorata nel tempo. L’anno scorso, quasi per gioco, ho partecipato ad alcuni contest che mi hanno confermato che alcune delle mie fotografie piacevano davvero. Ho ricevuto proposte di vario genere, ho esposto in gallerie d’arte a Roma, Firenze, Brescia, Trieste e ho ricevuto la proposta della casa editrice Dantebus di pubblicare, appunto, una personale raccolta: così è iniziata questa avventura.”

Come ha scelto il titolo dell’opera e perché?

“Life’s Photo è il nome del mio account Instagram in cui pubblico spesso i miei scatti. È un nome che ho scelto alcuni anni fa quando ho deciso di creare un profilo “segreto” in cui non comparisse il mio nome e cognome (che ho aggiunto in seguito) per vedere se le mie foto avessero riscontro. Dal momento che ho sempre prediletto scatti spontanei e casuali, in particolare foto di vita comune, di persone che, senza rendersene conto, hanno molto da dire, mi è sembrato che il nome, in italiano “Foto di vita”, fosse il più adatto.”

In che modo ha selezionato le fotografie da pubblicare? Sono opere realizzate con l’intenzione di far parte di un’unica pubblicazione oppure le ha selezionate successivamente tra tutta la sua produzione?

“Le foto sono state selezionate dal mio pluriennale ed enorme archivio fotografico. Ho la mania di catalogare mese per mese, anno per anno in doppia copia su degli hardisk esterni tutti i miei scatti, oltre a creare dei veri e propri album di stampe che mi occupano tantissimo spazio in casa. I miei figli sanno che in qualunque momento posso accedere a vecchi ricordi e in pochi attimi ritrovare fotografie di famiglia, amici o viaggi.”

Se dovesse attribuire ad ogni sezione un aggettivo o un’emozione come le suddividerebbe?

“Avevo alcuni vincoli editoriali da rispettare per pubblicare questo libro: in particolare potevo selezionare solo novanta foto che ho deciso di suddividere in dieci sezioni. A ogni sezione ho dato un titolo ispirandomi alle varie categorie fotografiche che, comunemente, i fotografi ritrovano quando partecipano a un concorso. Ho seguito l’ordine alfabetico per pubblicare le diverse categorie. Non posso attribuire un’unica emozione o un unico aggettivo per ogni sezione perché in ognuna di esse ritrovo – e cerco di comunicare – emozioni di ogni tipo.”

Qual è il messaggio che desidera lanciare tramite il suo libro?

“Il primo messaggio è che le passioni vanno coltivate, che bisogna crederci e scommetterci anche se a volte la strada è in salita. Ci sarà sempre chi ti dice che stai perdendo tempo e soldi, ma troverai anche chi ti sostiene e ti incita a proseguire nel tuo percorso. Il secondo messaggio è che dobbiamo fare attenzione a ciò che ci circonda e, in particolare, alle piccole cose che sembrano insignificanti: il mondo è spettacolare, la vita è magia, la natura è poesia e l’uomo può, con le sue opere, contribuire a migliorare tutto ciò.”

Quali sono i suoi punti di riferimento artistici? Quali autori l’hanno più influenzata a livello stilistico e perché?

“Partendo dal presupposto che la fotografia deve, oltre che immortalare, saper emozionare e comunicare qualcosa i fotografi che maggiormente mi affascinano sono in primis Steve McCurry (La ragazza Afghana… non so cosa darei per averla scattata io), poi Dorothea Lange, Henri Cartier Bresson (precursore della street photography). Recentemente ho scoperto le opere e la vita di Vivian Miller che mi ha affascinato da morire.”

Quanto e in che modo la sua vita privata, gli studi intrapresi e il suo lavoro influenzano la sua arte?

“La mia vita privata ha avuto una grande influenza sulla nascita e sulla crescita della mia arte fotografica. La mia palestra per imparare a fotografare e migliorarmi sono stati sicuramente i miei figli, i loro amichetti, interi asili e scuole elementari. Come dicevo, i soggetti che prediligo devono essere spontanei, non in posa e quindi… chi più dei bambini si presta alla spontaneità? Anche se ci provi a metterlo in posa, per fortuna, un bambino rimarrà sempre sé stesso: deciderà lui se sorriderti, farti il broncio o una linguaccia. Un altro aspetto della mia vita privata che mi ha aiutato moltissimo è la passione per i viaggi che condivido con mio marito. I viaggi sono una fonte importantissima di ispirazione e non nascondo che, a volte, pianifico i viaggi in funzione delle foto che potrò scattare.”

Riesce ad immaginare la sua vita senza la fotografia?

“Ovviamente la fotografia fa parte della mia vita e in essa mi sento libera di esprimermi. Quando fotografo mi sento viva, mi metto in gioco, oso più di quanto il mio carattere me lo permetterebbe. Ovviamente riuscirei a vivere anche senza, se fosse necessario, perché ci si abitua a tutto purtroppo.”

Come realizza i suoi scatti? Sono frutto dell’ispirazione del momento oppure tende a ricercare situazioni e luoghi in cui poter realizzare lo scatto perfetto?

“Non mi pongo limiti. Preferisco sicuramente l’ispirazione del momento, la ricerca dell’attimo fuggente o dell’occasione della vita come mi è successo al Moma di NY per la foto “In or out of the painting”, ma a forza di leggere libri di fotografia e di frequentare workshop ho capito che a volte le occasioni bisogna crearle.”

Quando si è avvicinato alla fotografia? Ha sempre scattato in digitale o anche in analogico? Nel corso degli anni ha seguito dei corsi per studiare nuove tecniche?

“Come dicevo le fotografie mi hanno sempre affascinata. Mi ricordo l’eccitazione di guardare le fotografie sviluppate dai vecchi rullini: perfino le fotografie che le nonne tenevano gelosamente nelle loro borsette mi facevano impazzire. In analogico ho scattato poco perché la vera passione è scoppiata quando ho acquistato una delle prime macchine fotografiche reflex. Da un anno sono passata a una Mirrorless. Ho seguito alcuni corsi di tecnica fotografica, ma non si finisce mai di imparare e ho ancora molto lavoro da fare.”

Qual è il suo genere fotografico preferito? Still life, street photography, reportage, naturalistica, ritrattistica…

“Da quanto ho detto ormai sarà chiaro a tutti che in assoluto preferisco la street photography e il reportage di viaggio che poi include un po’ tutto: dalla natura al paesaggio per arrivare alle foto di architettura urbana.”

È solita post produrre i suoi scatti oppure preferisce lasciarli fedeli all’originale?

“Fino a circa dieci anni fa, quando ho fatto il mio primo minicorso di fotografia, pensavo che un bravo fotografo fosse in grado di scattare una foto perfetta senza alcun ritocco. Mi è poi stato spiegato che la post-produzione è un po’ lo sviluppo della camera oscura di un tempo tanto che io utilizzo, come penso la maggior parte dei fotografi, il programma Lightroom, che è una sorta di camera oscura digitale. Detto questo cerco di lasciare le fotografie il più fedeli possibili all’originale per non snaturarle.”

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