Nella sua monografia “L’unico lieto fine possibile” c’è una commistione di versi, poesie, e immagini. Come è nato questo progetto?
“Il progetto è nato subito dopo il covid. Stavo passando un periodo molto difficile e la mia psicologa mi ha consigliato, come forma di terapia, di mettere per iscritto quello che mi passava per la testa. All’inizio erano semplici pensieri, poi sono diventate piccole poesie, poi si sono uniti i dialoghi, infine i disegni. Questa monografia è il resoconto del mio cammino verso la guarigione da una forma subdola di depressione.”
L’abbinamento di testi e immagini dà vita a un’opera armoniosa: quale dei due nasce prima?
“I testi arrivano sempre prima. Mi sento decisamente più a mio agio a comporre parole che linee. I disegni sono un complemento.”
Potrebbe descrivere il processo creativo attraverso cui scrive i suoi versi? Lo definirebbe più istintivo o legato a schemi e, quindi, ragionato?
“In realtà, lavoro in entrambe le maniere. Ci sono alcuni pezzi che nascono sul momento, di getto, cercando di cristallizzare su carta il flusso di pensiero. Altri, e sono la maggior parte, nascono da una riflessione meditata con continue correzioni e aggiustamenti. Io fruisco di molta arte visiva musicale e letteraria e tendo ad appuntarmi sempre tutto ciò che mi “risuona dentro”. Ogni tanto qualcosa di quello che mi appunto mi dà la spinta per cominciare a scrivere, come se fosse un trampolino. E così nascono la maggior parte delle mie poesie.”
Quanto è importante per lei, condividere la sua arte con gli altri? Cosa ha significato arrivare a una pubblicazione?
“All’inizio, mai e poi mai avrei pensato che qualcuno potesse leggere quello che scrivevo o disegnavo. Poi, grazie ai social, ho iniziato a pubblicare qualche testo. I primi commenti positivi mi hanno spinto a continuare. Oggi devo dire che quello che posto aiuta tante persone ad affrontare i loro piccoli-grandi drammi, perché ci si riconoscono. Capiscono che nella sofferenza siamo tutti uguali e questo la rende più sopportabile.”