Interviste d’Autore – William Mariella

La sua passione per la scrittura nasce dall’infanzia oppure si è manifestata più di recente?

“Scrivo poesie e aforismi da quando avevo 14 anni circa. Alcune fra queste sono state proposte in forma rivisitata nella collana I Poeti di Via Margutta vol. 43. Ad esempio, composi una bozza di Salmo Panteista a 16 anni, quando al Liceo studiai il filosofo Baruch de Spinoza. Altre poesie, invece, sono state composte di recente, come tutte quelle per la collana Vie. Anzi, le dico di più: ho inteso Vie come un concept che parlasse, per l’appunto, di vie, strade e luoghi che aspettano solo di essere scoperti. Attenendomi al concept che mi sono prefigurato, ho fuso la poesia con la narrazione e ho raccontato le disgrazie degli Ultimi della Storia che ho incontrato quasi per caso, mentre costoro seguivano affannosamente quel “progresso” da cui non hanno mai potuto trarne giovamento.”

Come nascono le sue poesie? Sono il risultato di un processo creativo metodico e costante oppure istintivo?

“Direi entrambi, anche se evidentemente prevale l’aspetto metodico e la ricerca addirittura ossessiva di sperimentalismi, arcaismi, modernismi e combinazioni di parole che per la loro sonorità possano il più possibile rimanere impresse, sfruttando allitterazioni e assonanze che sciolgono la lingua. La scelta di un vocabolo rispetto ad un altro non è affatto indifferente: tutto deve rientrare all’interno di un intimo significato che intendo attribuire all’esistente (e anche al non-esistente). Eppure, la componente istintivo-passionale è necessaria per tentare di fare una qualunque forma di arte a tutti i livelli, perché altrimenti non sarebbe possibile per il creatore (o il creativo) capire quali sentimenti si vogliano esprimere e da dove questi traggono origine. Inoltre, senza istinti e passioni, ci sfuggirebbe quel filo che lega ciascuno di noi a tutto ciò che ci circonda.”

Ci piacerebbe che lei commentasse la sua poesia dal titolo “Le Spore dell’Orrore (ovvero, Satira Anti-Marinettiana Numero Due, seconda ed.)” dando al lettore la chiave giusta per comprenderla.

“D’accordo, ma c’è il rischio che mi dilunghi molto. Mi impegnerò ad essere il più sintetico possibile, ma non posso comunque sbrigarmela brevemente. Filippo Tommaso Marinetti fu un artista polivalente che inaugurò l’avanguardia del Futurismo, il cui manifesto programmatico prevedeva tante cosucce carine che hanno avuto un forte impatto sugli eventi storici e sulle espressioni socio-culturali del suo tempo e dei periodi successivi. Ad esempio, oggi viviamo in un’epoca che per il sig. Marinetti potrebbe essere un bel sogno. Tuttavia, il suo sogno è il mio incubo, così come anche l’incubo di tante altre persone. Ma insomma, in che cosa consisterebbe The Marinettian Dream e i valori che ne derivano? Un sogno di oggetti e persone che si muovono sempre più veloci. Questo perpetuo anelare alla velocità comporta necessariamente ed inevitabilmente una meccanizzazione dei comportamenti, tanto da “svuotarli” dai propri significati più profondi e spirituali. Magari non sono stato chiaro e voglio evitare di essere dogmatico: ci vuole più tempo a pervenire ad una conoscenza superficiale o ad una conoscenza profonda? Domanda banale, l’opzione corretta è chiaramente la seconda. Pertanto, il mito marinettiano della velocità ci preclude la via della conoscenza profonda che è la più complessa, la meno immediata (ossia, più lenta da acquisire) e solitamente è di natura non-materialistica (non in assoluto perché anche il materialismo ha la sua dignità morale ed epistemologica, ma è parimenti fallace la reductio ad materiam). Quello che rimane, dunque, è la superficie, fatta di suoni fastidiosi e costumi rutilanti. Purtroppo, l’arte nel terzo millennio è oltremodo satura di opere povere, striminzite, effimere, ricche di suggestioni ma prive di messaggi, che però obbediscono alla legge della velocità marinettiana perché… ehi, il buon cittadino deve andare a produrre e non ha tempo per leggersi cinque pagine di questo prolisso e supponente poetuncolo chiamato William Mariella che nessuno conosce, ma intende annoiarmi con i suoi componimenti esasperatamente lunghi! Eppure, è un fatto che negli anni ‘70 si lavorava per più ore rispetto ad oggi e si lavorava persino il sabato, ma le persone – i buoni cittadini che producono – trovavano sempre il tempo almeno per vedersi un lunghissimo, contorto e anche un po’ ansiogeno film Neorealista, o addirittura leggersi la Storia Infinita di Ende (che se non è Infinita, è sicuramente lunghissima). Che paradosso… un altro fra tanti. Un altro mito marinettiano correlato a doppio filo con quello della velocità, è quello della fede cieca e messianica nei confronti della tecnologia e dei suoi chimismi lirici, la quale non viene più intesa solo come mezzo utile, efficace ma perfettibile. Intendiamoci, non sono qui a suffragare strampalate tesi cospirazioniste che propugnano quarti di verità in un oceano di feci, ma ho sentito il dovere morale di contribuire a mio modo alla critica di questo nuovo approccio neo-religioso nei confronti dei frutti della tecnica, venerati alla stregua di reliquie: è probabile (poco probabile ma comunque probabile) che i farmaci possano fare cilecca oppure peggio (sto parafrasando ciò che è scritto sul bugiardino dell’anti-tetanica che ho richiamato di recente, i viro-star se ne facciano una ragione); i robot, i computer, le intelligenze artificiali e le macchine industriali sono delle meraviglie della modernità, ma non hanno nulla a che fare con l’esempio virtuoso, la bellezza morale (sono anche anti-Crociano, oltre che anti-Marinettiano) o anche solo una vaga idea di scopo; le tecnologie hanno anche creato problemi e difficoltà (anche se oggi va di moda chiamarle sfide perché deve essere tutto inteso come un gioco da bambini, poco importa se rischiamo la catastrofe). I danni che sono stati arrecati dalle tecnologie e che possono essere risolti dalle tecnologie (purché si abbandoni questo idiota neo-positivismo con i suoi riti e i suoi sacerdoti laici) sono l’inquinamento, il riscaldamento globale, ma anche la scomparsa di professioni, la perdita di alcuni buoni costumi, eccetera. Io credo fermamente che una persona veramente intelligente sappia discernere e rifugge i polarismi, prendendo le distanze tanto dal complottismo quanto dall’anti-complottismo. Inoltre, Marinetti era anche un convinto guerrafondaio e sosteneva che l’Italia dovesse imporsi sui popoli confinanti, considerati come esseri inferiori, passatisti (per utilizzare un suo neologismo) e indegni dell’avvenire (questo tema è stato trattato anche nella prima satira uscita nei Poeti di Via Margutta vol. 43 sulla Disfatta di Caporetto che peraltro il nostro ha vissuto sulla propria pellaccia). D’altronde, aderì al Fascismo e morì dopo aver composto il non certo controverso Quarto d’ora di poesia della X Mas. Bisogna dire ad onor di storia che Marinetti aderì al Fascismo con qualche riserva, ma tant’è. Marinetti definì la guerra sola igiene del mondo, e tanti suoi coevi abbracciarono tale aberrazione con così tanto entusiasmo che finirono per crederci davvero! Cosa hanno fatto quelle generazioni così convinte che la guerra fosse igienica? Le due guerre mondiali, gli stermini nei campi di concentramento, le bombe atomiche. Noi che discendiamo da quelle generazioni siamo stati migliori? No, visto che in questo momento si sta combattendo un infame guerra fratricida fra Russia e Ucraina (da appassionato di cultura slava non ci posso che rimanere male, perché ho in sincera simpatia entrambe le culture nazionali). Ci tengo a soffermarmi sul conflitto russo-ucraino, così come mi ci sono soffermato nella satira. Se è un dovere morale da parte di tutti e non solo mia definire Criminale (lettera maiuscola d’obbligo) la classe dirigente russa per quello che sta succedendo, ritengo anche che la colpa non debba ricadere indiscriminatamente su 120 milioni di cittadini russi (contrariamente a quanto pensa qualche politicante esaltato che si sciacqua le terga nell’inquinatissimo Mar Baltico, dove vivono quei Popoli dell’Ambra che irradiano saette di secolare rancore), così come ritengo che gli ucraini non sono i santarellini che i nostri zelanti mass media vogliono farci credere. Basti pensare che su internet, per aver espresso umilmente e rispettosamente questa opinione sul conflitto in corso, ho ricevuto delle minacce da parte di un tifoso della FC Slava Ukraina che mi voleva presentare ai suoi nerboruti amici cosacchi (io preferisco i tifosi di vecchio stampo come Umberto Saba che scriveva poesie dedicate alla sua Triestina, quindi ne approfitto per dire Sempre Forza Viola che non guasta mai). Non sto qui a fare il moralista, però voglio concedermi un po’ di idealismo, seppur futile e anche un po’ antipatico: finché qualcuno qui in Occidente, come il sopracitato ultras, riterrà che sia giusto fare igiene alla maniera che il sig. Marinetti suggerì un secolo orsono, quel qualcuno non dovrà mai arrogarsi il diritto di lamentarsi degli autocrati orientali, non perché quei dittatori siano stinchi di santo (anzi, sono il peggio del peggio), ma perché questi ultras puzzano di ipocrisia, dimostrando di assomigliare tantissimo a questa nuovissima specie di tiranni che incarnano in pieno tutti i valori marinettiani. Ora che ci penso, forse dovrei scrivere anche una terza satira per esprimere meglio questo ultimo punto, poiché Marinetti profetizzò e ritenne cosa buona e giusta la sorveglianza di massa.”

Se dovesse scegliere tra i grandi scrittori o artisti quello che sente più affine a lei e alla sua poetica, chi sceglierebbe e perché?

“Me ne sovvengono molti per non dirne nessuno. Nel corso degli anni, nonostante le molteplici influenze da cui prendo ispirazione, ho sempre cercato uno stile che mi caratterizzasse e mi distinguesse, nei limiti delle mie abilità artistiche. Eppure, se proprio devo dire un poeta che fra tutti mi ha colpito, direi Eugenio Montale. Del poeta genovese mi ha colpito la ricerca sonora: mi ha tanto influenzato il suo stile aspro, ottenuto attraverso l’accostamento di parole che con il loro suono potessero ricreare gli ambienti, le emozioni e i pensieri che voleva esprimere. A modo mio, cerco di fare qualcosa di simile, non solo per essere aspro ma anche per essere truce o dolce, luminoso od ombroso, elegiaco o grottesco. Invece, dal punto di vista delle tematiche mi sento più vicino a Leopardi che a Montale.”

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