Interviste d’Autore – Natalina Di Manno

“Con queste poesie mi denudo, le mie viscere sono qui sulla carta.” Ha mai provato vergogna o imbarazzo nel “denudarsi” di fronte ad un pubblico?

“Le parole mi fanno da schermo. È come spogliarsi di fronte ad un vetro, senza sapere chi c’è dall’altro lato. Il mio denudarmi è un semplice atto della mia anima (se anima esiste) e non si cura di chi c’è al di là del vetro, perché nonostante si possa vedere la nudità è qualcosa che nessuno può toccare. La mia unica paura è sempre stata quella di non essere compresa, che ciò che scrivo non riuscisse a veicolare il giusto messaggio, ma mai ho provato imbarazzo o vergogna per le mie parole.”

Ha diviso i testi pubblicati in diverse sezioni: “Le mie tenebre”; “L’eterno non è un tempo”; “Ma il mare di notte”. Come mai questa scelta stilistica? Sente il bisogno di mettere in ordine i suoi pensieri?

“Ho scelto di suddividere così le mie poesie per poter aiutare il lettore, prenderlo per mano e farlo passare nelle diverse stanze della mia casa (che è appunto la mia raccolta poetica). Ritengo che il bisogno di ordine sia qualcosa che non ha niente a che fare con la poesia, almeno non con la mia, ma che c’è bisogno di tracciare un percorso affinché anche gli altri che leggono possano esser guidati attraverso i versi.”

Nella poesia “Scrivo” alcuni versi recitano: “Scrivo di rabbia verso una vita/che è una prigione/fatta di sbarre invisibili.” Quali sono le sue “prigioni”? In che modo la scrittura la aiuta ad evadere?

“Le mie prigioni sono diverse e ognuna di esse è crudelmente affacciata su una felicità e un benessere che sono irraggiungibili attraverso le sbarre. La scrittura non mi aiuta ad evadere, bensì a cantare le mie costrizione, condividerle e renderle così più accettabili, più sopportabili.”

I suoi componimenti sono profondi e malinconici. Quale parola userebbe per definire la sua poetica? C’è una corrente poetica alla quale si sente più affine?

“Sinceramente, non ho una parola sola che possa definire la mia poetica. Qualcuno mi ha detto di essere melodrammatica, e non nego che l’iperbole è una delle mie figure retoriche preferite, ma più che questo potrei definire la mia poetica “visiva”. Quello che cerco di fare con ogni poesia è associare delle immagini che possano esser viste interiormente dal lettore per aiutarlo a capire, capire davvero, quello che sta leggendo. Non mi sento affine a nessuna corrente poetica in particolare, ma sento molto vicini i temi di Leopardi e Baudelaire. Sono certa che ci sono poeti più moderni che meglio potrebbero essere affiancati al mio stile di scrittura, ma nonostante io scriva quelle che voi avete avuto l’ardire di chiamare “poesie”, conosco molto poco della storia e degli autori di poesie sia passati che moderni.”

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