Interviste d’Autore – Arianna Favaretto

“Appartenenza” è il titolo che ha scelto per la sua raccolta fotografica. Cosa significa per lei e che valore ha la parola “appartenenza”?

“Appartenenza per me è un sentimento, è la sensazione di essere “inclusa” dandomi percezione del mio valore. È accettazione, dove le differenze vengono tollerate e ci si sente connessi con gli altri, in questo caso con il mondo “Natura” che mi trasmette la sensazione di conforto e la consapevolezza che non esiste solo l’uomo ma anche il bello che si tramuta in meravigliosi paesaggi con la fauna che li abita, che accetta la mia presenza silenziosa, coinvolgendomi e interagendo con me, dando significato alla vita. È il mondo che fotografo e che in qualche modo mi appartiene e io sento di appartenervi. Si tratta di luoghi dove mi sento serena, in pace con me stessa. Li ritrovo nel mio cuore perché saturo delle sensazioni che penetrano attraverso i miei occhi.”

Tutte le foto ritraggono paesaggi, uccelli e fiori. Perché preferisce ritrarre elementi naturali? Si è cimentata anche nella ritrattistica?

“Nel periodo storico che stiamo vivendo l’uomo ha iniziato a comprendere che intorno a sé ha sempre avuto un mondo a cui prima non ha mai dato il giusto interesse perché troppo impegnato a fare altro. Le mie foto sono un inno a questo mondo che tanto ha ridato e donato alle persone che si sono sentite escluse dal mondo sociale ove fino ad un attimo prima erano completamente immerse. Fare una passeggiata nella natura rigenera l’animo e fa gioire la vista, in modo inaspettato e a volte inconsapevole. Gli elementi naturali si propongono per quello che sono sempre. La fotografia paesaggistica non la puoi trasformare, non la puoi deformare, mentre invece credo che la ritrattistica abbia bisogno di quel qualcosa in più che trascende dall’essere un fotografo, devi diventare l’amico o il fratello della persona che stai fotografando. A mio parere devi conoscere la persona che fotografi per poter dare l’essenza di quella persona, per poterne far risaltare l’anima anche attraverso la foto. Ho iniziato a cimentarmi in questo tipo di fotografia ma al momento non ne sono ancora abbastanza soddisfatta. Sto procedendo invece anche con la fotografia urbana anche se spesso la trovo fredda e sterile ove è necessario cogliere al volo la storia che si vuole raccontare attraverso di essa.”

Oltre ad essere una fotografa si dedica anche alla pittura. Quale di queste due arti preferisce? Ci sono momenti in cui ha messo da parte la pittura in favore della fotografia o viceversa?

“Le mie fotografie sono ricche di colori, a volte spinte al massimo dell’intensità come fossero dei dipinti. È così che vedo i paesaggi che magicamente la natura mi propone. È come visitare la galleria di un artista sconosciuto a cui tanti hanno dato un nome ove ogni volta viene cambiata la palette dei colori e di conseguenza si adatta a creare nuove sfumature. La pittura nella mia vita non mi ha mai abbandonato. Non ho mai considerato dipingere come un possibile lavoro ma come una valvola di sfogo di cui saltuariamente ho bisogno. La fotografia è il suo interfaccia più semplice, più facilmente replicabile; che abbisogna comunque di un lavoro, io lavoro in post-produzione perché amo far risaltare i colori e perché la fotografia è la mia arte che deve emergere così come io la penso o come io ho visto ciò che ho fotografato. Devono emergere le sensazioni che ho avvertito in quel momento e cerco di trasmetterlo attraverso i suoi colori.”

Qual è la foto che, all’interno di questa raccolta, la rappresenta di più? E perchè?

Riflessi da fiaba è la foto che in particolar modo mi rappresenta. Quanto ho recepito in quel momento è in parte visibile attraverso di essa. Nonostante la calma e la tranquillità del fiume nel periodo invernale di stasi vegetativa ancora la natura riesce a trasmettermi attraverso i suoi colori caldi un senso di pace, abbracciandomi, con il fiume limpido come uno specchio, ove tutto si riflette facendone emergere l’anima. L’immagine è ipnotica e racconta una favola che non smetteresti mai di guardare.”

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