LUIGI COLASANTO

CHIUDENDO GLI OCCHI MI SENTO VIVO, ANZI..ANZI..IO SONO VIVO

«Il progresso di un artista è un continuo sacrificio, una continua estinzione della personalità» (Thomas Stearns Eliot). Luigi Colasanto è uno di quegli artisti che dona tutto sé stesso all’arte. La poesia nasce dalla vita, si fonde con la sua linfa, coincide col suo soffio vitale. L’uomo/poeta muore letteralmente sul foglio bianco e lo imprime del proprio sangue. L’artista si sacrifica, si immola e regala ogni parte del suo essere alla poesia, a chi la legge, a chi l’ascolta e a chi ne fa parte. Dopo questo supremo atto dell’autore, la poesia, allora, coincide con Luigi, sono la stessa cosa, la stessa carne, lo stesso corpo…respirano lo stesso respiro, battono nello stesso cuore, vedono con gli stessi occhi, odono le stesse parole, toccano la stessa materia. È questo il senso profondo della magnifica poesia programmatica: «Sporco è questo foglio bianco del mio sangue maledetto/e ferma è questa mano autrice eternamente condannata./Suo complice ignaro sono da sempre,/ed entrambi siamo servi della stessa sovrana./L’arte…/È in questo mio sangue versato sul foglio,/in un dipinto senza sfondo…/L’arte è sacrificio, essere disposti ad amare./Essere disposti a morire./Ogni opera è un pezzo di qualcuno che l’ha perso/per offrirlo e non riaverlo./E così quel mio sangue, donato a quel foglio/di me sarà parte versata per l’arte» (“OGNI PARTE DI ME”). È una Poesia “vivente”, priva di confini temporali. L’autore è contemporaneamente passato, presente e futuro, come il bambino, l’adulto e l’anziano: «Vivo il sogno di un bambino che vuol fare cose grandi,/senza spegnere il suo cuore in quel mondo “dei più grandi”,/e sto in bilico su un filo mentre faccio quel che faccio/ricevendo molti schiaffi quando io vorrei un abbraccio» (“SOGNO DI UN BAMBINO VESTITO DA PAGLIACCIO”). Il lettore che si avvicina, quindi, deve essere consapevole di avere in mano ogni parte del poeta. E allora ecco che avviene il nuovo miracolo dell’arte. Luigi riesce a farlo vedere con i suoi occhi, a farlo pensare con i suoi pensieri, a farlo pulsare col suo cuore. L’animo è ferito, lacerato, dilaniato, perché ha sperimentato la sofferenza del non-essere (morte) e della non-presenza (assenza): «Brucia il cielo e l’anima trema,/un urlo potente di una forza estrema,/e strema è la carne derisa dal pianto/che pare un lamento ma stona in un canto./Il racconto di un uomo che non è più e urla più forte se non ci sei tu» (“NON CI SEI TU”). Una profondità e ricchezza espressiva che richiama Goethe «La sorte dell’uomo è soffrire fino in fondo, e sorbire fino in fondo il calice della vita? Perché io dovrei mostrarmi forte e dire che è dolce, se anche il Dio del cielo lo sentì troppo amaro per il suo labbro umano? Dovrei forse vergognarmi quando, in un attimo terribile, tutta la mia esistenza trema fra l’essere e il non essere, e il passato è simile ad un baleno sull’abisso tenebroso del futuro, mentre tutto sprofonda intorno a me, e con me naufraga l’universo?» (“I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER”). Eppure, Luigi va oltre, non si arrende al dolore e al pianto. Il suo animo è in movimento, in divenire. L’occhio poetico contempla l’orizzonte: «Mentre miro l’orizzonte,/dove il mare incontra il cielo…/Sfiorato io da un dolce vento,/e nel petto il cuor mio duole,/per parlar di un sentimento vorrei trovar giuste parole…/Questo cuore non si sbaglia,/di tal pace tu sei figlia, freccia che su di me si scaglia,/a tua bellezza essa somiglia». (“MENTRO MIRO L’ORIZZONTE”). Nell’Immensità il poeta coglie l’Amore e la Bellezza, i due elementi salvifici dell’Universo. L’artista prende a motto del suo essere la frase di Dostoevskij: «La Bellezza salverà il mondo» (“L’IDIOTA”). In questo intenso percorso umano ed artistico, accade ancora un incanto. L’amore, come per magia, entra dentro la poesia, simile ad una pioggia inaspettata che cade dal cielo. Il poeta stupito, meravigliato, scopre che nella sua prigione è entrata LEI (la Bellezza) che spezza le catene del suo cuore, spalanca le porte dell’esistenza e della libertà. Luigi tesse versi dorati che descrivono l’attimo esatto in cui nota questa meravigliosa presenza: «Ci siamo conosciuti dentro una poesia/dove il mondo non ci ha visti,/ nel più inaspettato dei versi./E le parole tue non sono più di un fugace ricordo/che come onde in evasione,/per paura di morire, tornano a casa./Pensavo fosse il mare./Un fruscio vuoto che non sa niente di noi./Cosa eravamo noi./Che cosa siamo noi?/Pensavo fossi il mare./Cada la pioggia dal cielo senza farsi del male/mentre questi granelli di sabbia scivolano giù dalle mie mani,/diventando punti a strofe abbandonate…/Ti aspetto qui, alla fine del giorno,/dove so che puoi vedermi anche ad occhi chiusi./E chiedimi adesso se scrivo poesie./Sì, scrivo poesie. Tu come sei entrata?» (“TU SCRIVI POESIE?”). È una rinascita, una resurrezione? O è semplicemente capire chi siamo davvero? È questo il grande messaggio finale: l’arte, il percorso di dolore, il capire e trovare l’Amore, ci portano ad una grande verità “Noi non ci sentiamo vivi…NOI SIAMO VIVI!”: «Sento il vento che mi accarezza la pelle/e sento la terra che prende sberle dal mare,/sembra che litighino come due giovani sorelle,/su chi il più bel vestito debba indossare./Ma non lo vedi Dio?/Guardati attorno, presta attenzione al cielo che passa sopra ogni cosa,/sopra le buie ingiustizie che accendiamo ogni giorno,/mentre lui non si spegne anche quando riposa./Il sole picchia prima di essere nascosto/ed io mi riparo all’ombra dei rami d’ulivo,/cerco me stesso nel mentre che sosto,/e chiudendo gli occhi mi sento vivo./Anzi..Anzi..Io sono vivo» (“SONO VIVO”).

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