GIOVANNI D’ANDREA

VOCE DI UN POETA CHE GRIDA NEL DESERTO

Il poeta Giovanni D’Andrea si colloca idealmente nella strada aperta da Ungaretti e Quasimodo. Una poesia a tratti di denuncia, quando parla della società odierna, a tratti di intima riflessione, quando parla dal profondo dell’animo umano. Troviamo, dunque, una netta distinzione tra: il tempo dell’IO LIRICO, riservato e moderato, che ai limiti dell’ermetismo usa versi e parole rarefatte, pensati, sublimati contemplati; e il tempo della VOCE DI DENUNCIA, di cui si rende interprete il poeta, nei confronti di una società ormai dominata dalla avidità e dalle sete di potere. POESIA DI DENUNCIA. Al pari di Ungaretti e Quasimodo, quando narrano gli orrori della guerra, il poeta si scaglia contro il mondo contemporaneo, che per il potere uccide il popolo. Pochi potenti ingannano la massa ignorante che è macchiata, quasi inconsapevolmente di sangue: «La sete di potere/disintegra gli stati./Sicuri dell’ignoranza/i vigliacchi vanno avanti./Procedono negli intenti/che si sono, già, prefissi,/per raggiungere lo scopo che/non ha niente di sociale./In nome di una patria/si uccidono tra fratelli/e la massa, ignorante,/non si accorge del tranello./Per gli uomini del popolo/non hanno senso le frontiere,/perché, poi deve varcarle/per guadagnarsi il pane» (“SETE DI POTERE”). Potenti in contrapposizione con la “Gente onesta”, dai sani i principi morali, ma che proprio per questo viene calpestata: «Noi!/Gente onesta/e senza malizia:/gente/con tanti scrupoli,/che ha vergogna/se non ha/un vero lavoro./Siamo importanti per chi/scrupoli non ha./Noi/Gente onesta,/assillata dal timore/se pensiamo di/non fare, talvolta,/il nostro dovere./Noi!/Gente onesta,/siamo calpestati(perché, già conoscono/la nostra debolezza» (“NOI GENTE ONESTA”). Il poeta denuncia l’illusione della conoscenza e del progresso, che fanno parlare inadeguatamente di “Civiltà”: «Oggi nel mondo, noi diciamo,/c’è una grande civiltà,/solo perché si va nel vuoto/e si va in fondo ai mari./O perché si fa il possibile/per salvare una vita,/trapiantando un altro cuore./Quando, invece, vediamo ancora/molte terre abbandonate e/la sua gente muore di fame./mentre, noi con i soldi/ci compriamo munizioni/e a loro le portiamo;/provocando all’innocenza/violenza e distruzione,/vittime e disperazione» (“NOI DICIAMO CIVILTÀ”). Giovanni, rifacendosi al “relativismo” di Pirandello, mette in risalto il concetto che non sono più le persone a cambiare, ma esse sono diventate talmente prepotenti da trasformare il mondo, dandogli la forma che ritengono più adatta al proprio edonismo perverso e alle proprie “isteriche” emozioni: «Siamo in un mondo/che cambia ogni giorno,/resta ancora, in equilibrio/ma, ogni tanto, barcolla./Non si capisce, più, se/lì è, ancora, l’equatore/e se i poli terrestri/sono quelli di sempre./La gente, sicuramente,/non è, più, come una volta;/vive in modo assurdo/e fa continue follie./Si cerca, ogni momento,/con accanita intenzione,/di creare, solo, emozioni/isteriche e paradossali./Non è il mondo che cambia,/è la gente che lo trasforma,/dandogli una, certa, forma/perversa e stravolgente» (“FOLLIE”). Il poeta, allora, ha la missione e il compito di ammonire, avvertire l’umanità, di non farsi catturare nella rete di chi vuole rubargli e possedere la mente: «Tu, uomo quotidiano,/diffida di colui che,/con furba prepotenza,/cerca di imporre a te,/con carisma, il suo volere./Scrolla le tue meningi,/non lasciarti ammaliare/altrimenti ci rimetti,/mentre lui ne ha profitto./Si sa,/chi ha, già, troppo/e si rivolge a te,/non vuole darti qualcosa/ma, possedere/la tua mente» (“SOLO UNA PREDA”). L’IO LIRICO. Ecco che, allora, il poeta reagendo alla decadenza morale, decide di portare la sua poesia alla dimensione più intima. I versi diventano più rarefatti e da una parte, danno forma alle emozioni. «In ogni attimo di vita…/sei impressa nei miei occhi…/ormai sei dentro di me» (“SEI DENTRO DI ME”). Dall’altra esprimono la “Pietas” per la condizione umana: «Povero essere umano…/Sei un cavallo in pista/che, se spronato, corre/ma, poi, chi vince e gode/non sei, mai, tu» (“POVERO ESSERE UMANO”). Eppure proprio la poesia rappresenta la speranza di cambiamento, quel barlume di luce in lontananza da seguire «Ma, anche se l’animo è stanco/, spera già,/nel giorno che verrà» (“SPERANZA”). Come un famoso profeta, Giovanni apre le strade e le menti, lotta per far capire all’uomo come mantenere la “libertà” del pensare e vivere…VOCE DI UN POETA CHE GRIDA NEL DESERTO!

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