IL MAESTRO DEL TEMPO TROVA L’ARMONIA…
“Il maestro del tempo” Marco Lando incanta ancora il lettore con una nuova silloge. Come un nocchiero egli ci invita a salire sulla barca della poesia, che attraverso il fluire, simboleggiato dall’amato fiume Adige, ci conduce in elevati viaggi “elegiaci”, oltre i confini tradizionali dello spazio tempo: “Passa, il fiume Adige,/scorre, anche qui, accanto,/porta quello che è,/e che è stato,/e desidero, nel sentirlo,/quello che deve avvenire./Il mondo, il fiume, la realtà/ci capiscono,/come i nostri orologi./Noi, parliamo, nel tempo,/lo aspettiamo tacere,/come l’orma di un pensiero,/poi, lo lasciamo andare,/perché siamo uomini” (“Stare”). L’arte, infine, evolve e l’acqua e le ore, sfociate nel mare, iniziano un percorso inedito verso l’alto. Il fiume e la poesia prendono le via del cielo: “Passa giorni e notti,/bufere e tempeste,/dolore/e cose antiche,/ma il celo/è l’alba di una rondine/fuggita dentro la mia stanza/a portarmi la luce/dicendo ai sogni/di starsene lontani dal vero/che ora già si apre, azzurro” (“La via del cielo”). Allora il poeta si muove dentro “Il palazzo del tempo”, che è come una reggia sopra le nuvole, un universo parallelo che sovrasta e guarda il sottostante mondo, nel suo passato, presente e futuro. Il “Sole” che segna le ore, come nella meridiana, diventa misticamente un simbolo e uno strumento divino, che regola e permette la realtà: “E non è un orologio, né un edificio,/si perde nell’aria, nel cosmo immenso,/ed è una mente, un suo modo,/segue ciascun pensiero,/e regola i nostri sogni./Aria, cosmo, principi d’Iddio,/la meridiana, col sole, muove la realtà./Danza il mondo attorno al campanile:/la pieve esiste, esistono gli oranti:/il fiume, laggiù, segue e va,/è un fiume, e guarda nubi, ascolta la luna,/vive per gli argini e la valle/ascoltandomi pensare un poco per volta” (“Il palazzo del tempo”). È una lezione di una finezza intellettuale e spirituale incredibile: il poeta non cerca solo l’Universale, la Pace, l’Essenza ma va oltre: Marco anela all’ARMONIA. Come un direttore d’orchestra il poeta vuole e deve (sentendolo come missione) far suonare tutti gli strumenti meravigliosamente insieme. La sinfonia prevede tutto, non esclude nulla, ciascun componente è importante: Ciò che fu’, ogni cosa che è, quello che sarà. I monti, il fiume, la natura, gli animali, l’uomo. Per riuscire in ciò il poeta parte dallo sfondo: dai colori. L’enrosadira dei monti dolomitici e le sue sfumature sono il primo elemento, il primo strumento a suonare di sottofondo, l’attimo prima dell’alba: “S’interrompe l’indagine,/la notte trova riparo:/la voce è quella dell’alba./Nubi rosa, luce radente./Solo il risveglio e il cielo/potevano tanto./Cala il falco, a giorno adulto,/guardo volare e sono chiaro” (“Vita”). Eppure c’è un animale-simbolo che attira l’autore, per la sua “armonia”, per l’elegante perfezione che possiede nell’unire la terra al cielo, nel tenere insieme i momenti cronologici della giornata, come il filo che tiene le perle di una collana: IL FALCO. Esso è lo stendardo dell’ars di Marco: “Spesso, al mattino,/e poi nel tardo pomeriggio,/un falco, alato di vento e sogni,/attraversa la valle,/attraversa il pensiero,/m’invita./Seguo questo richiamo,/mi piace guardare il suo volo,/stupire la mente,/immaginare le vette,/ricordare le brezze/e la tempesta, la neve/il planare di un uomo/specie tra la realtà che non vede/per conoscere il vero” (“L’appuntamento”). Il falco è il nuovo simbolo della poesia, è l’evoluzione dell’Adige. Il poeta vede con i suoi occhi, cerca la Verità, raggiunge l’Armonia. Senza rinnegare nulla, la poesia e il poeta scrutano volando dall’alto delle vette alle valli e fluiscono contemporaneamente dalla sorgente alla foce. Un nuovo vivere, un nuovo modo di pensare e di esistere. Come un puledro che galoppa indomito sotto la tempesta, dentro la piena del fiume, vincendo le difficoltà, i turbamenti e gli ostacoli della vita e della storia: “Non occorre il colore del cielo limpido/per fare un prato,/ma le nubi bianche dei monti/quelle che decidono il suono del temporale/e la sinfonia delle piogge/tra i rumori dell’aria:/immagino un bel cavallo bianco/pronto a vivere la piena del fiume/e cavalcare sulla fine del giorno/per entrare nella luna chiara/quando seda la tempesta/ed il pensiero dei mondi e delle stelle/si fa vicino e chiacchiera dei sogni/degli amanti felici, percorsi dalla bellezza” (“Prati verdi”). È un concerto meraviglioso con l’unico limite di essere umano e quindi definito. All’interno dell’orchestra, il rintocco della pieve ce lo ricorda costantemente: “L’orologio della pieve/Il venerdì batte l’ora terza,/sempre./È l’ora più forte del mondo/e salva, il mondo,/portando via l’illusione./L’orologio ha una felicità:/misurarci nel tempo,/è lento o veloce o statico/ma ha un grande contatto:/il tempo della nostra realtà./Ci dicono le Scritture/il fatto che va scomparendo,/come il vero, nel Vero dell’Eterno” (“L’orologio della Pieve”). Il lettore che si avvicinerà a questi versi, salendo sulle ali del Falco o scorrendo lungo le rive dell’Adige, udirà la meravigliosa sinfonia che il direttore d’orchestra/poeta Marco dirige. Con una straordinaria ARMONIA essa ci lascia un messaggio chiaro e limpido: CARPE DIEM. Nel senso di cogliere il nostro tempo, che inesorabilmente scorre. Va utilizzato per cercare la “profonda” vera Bellezza e una volta trovata bisogna contemplarla: “Contemplo/l’azzurro perfetto/e mi meraviglio:/le strade del cielo sono chiare/ed il prezzo di questa luce/è l’aver attraversato la tenebra./Guardo al futuro tramonto,/e so che un sogno/attraverserà la mente/come una stella profonda/per aprire al vento i luoghi di sempre” (“Profonda”). Solo così potremo vivere una vera vita, trasformata, trasfigurata, come una nuova alba rosea sulle vette dolomitiche, da cui fluirà l’Amore Eterno:”Dona a chi ami: ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere” (Dalai Lama).