Memoria peritura
I versi in rima dell’autore Orazio Giordano ci cullano in una disamina appassionata delle emozioni umane, dalle più nobili alle più familiari, da una prospettiva che a volte guarda con slancio e fiducia alla vita e che altre volte, invece, sofferente, sembra rivolgersi ad un femminile, interno quanto esterno a sé, disilluso e crepato dal dolore che la vita può infliggerci. Giordano indaga con maestria il conflitto che può generarsi in un animo sofferente e tormentato. L’invidia logorante di chi guarda alla felicità altrui ¬ libera e lasciva − da mero spettatore. Sono le catene interne che inibiscono un vivere fluido e allegro, creativo! Non c’è soluzione, non c’è scampo quando l’ara sacrificale è dentro di sé, le fiamme ti cingono, ti trattengono, ti soffocano. Perché è proprio la creatività, in ogni sua forma ¬ danza, poesia ¬che vivifica, che sublima e trasforma ogni emozione, ogni sofferenza in un dono, che ti permette di godere di ogni piccola suggestione che la vita ti offre, dalla sincerità di un sorriso al silenzio della solitudine, malinconica ma spesso fertile necessità.
Fecondo è l’uso che l’autore fa di metafore e similitudini per potenziare la resa di alcune immagini sensoriali che va descrivendo; e così le nuvole nere di pioggia che si stagliano in quel cielo pronto a grondare lacrime sembrano cavalli al galoppo in militari campagne di guerra. Creativo è, ancora, l’uso della personificazione: le figure delle divinità classiche dell’Olimpo sembrano accompagnare e allietare un pomeriggio estivo in riva al mare che, visionariamente, prende la forma di un quadro quattrocentesco.
Molte, quindi, le tematiche prettamente umane affrontate da Giordano, non ultime, astraendo dal “patetico” sentire, sono quelle filosofico-esistenziali: l’uomo, viandante solitario su strade infinite e deserte, alla ricerca di se stesso, percepisce il suo esser-ci come un punto infinitesimale nell’universo sconfinato. Si ritrova, sofferente, a fare i conti con quel sentimento crudele di vuoto assoluto dove l’ego, distrutto, non può che indietreggiare e ridimensionarsi. Vivere, sembra dirci l’autore, vuol dire anche saper sacrificare parti di sé ed imparare a fluttuare in un “oceano piatto e tempestoso” nella speranza, consolatrice, di una “memoria peritura”.