Matteo Frasca

L’animo ermetico

Il poeta Matteo Frasca tramite la sua poesia opera una ricerca di essenzialità espressiva che possa allo stesso tempo grondare di forza emotiva andando a recuperare l’incisività stringente di profondi stati d’animo che non possono, quindi, essere colti mediante un linguaggio logico e articolato discorsivamente. Il linguaggio di Frasca, in prima battuta impenetrabile, usa la parola non tanto come segno o significante, quanto come immagine simbolica in sé che apre squarci temporali nel nostro inconscio.
La poetica rispecchia quindi l’animo stravagante e tormentato del nostro poeta che vive questa vita in toni estremi e struggenti, contraddittori e conflittuali in un continuo rispecchiamento tra sé e la sua arte: “psicopatico sorriso spastico/ davanti allo specchio il/riflesso riflette sul lessico”.
Il linguaggio è concentrato ed essenziale, un ermetismo linguistico in cui la parola, di per sé oscura ed ermetica, serve a creare immagini poco realistiche ma struggenti e simboliche. La parola magica è come se aprisse porte verso nuovi mondi, mondi segreti che attingono alle profondità dell’animo umano in cui le regole operanti nell’espressione conscia e coerente del reale perdono di valenza. È il simbolo, qui, che fa da padrone, che prende vita dal bacino dell’inconscio. Mediante l’accostarsi di espressioni analogiche susseguenti una all’altra, il poeta crea una catena ritmica di sensazioni ed immagini fortemente evocative. Strilli di inconscio. Allitterazioni di immagini analoghe che, insieme, potenziano la forza espressiva di ciò che il poeta vuole esprimere, come, ad esempio, la difficoltà di un relazionarsi fluido con l’altro, l’inaccessibilità di un mutuo e reciproco scambio che relega a solitudine affettiva: emozioni mute/sentimenti muti/ assolo sordo.
L’artista ci fa entrare in un mondo surreale e frammentato dove tutto è il contrario di tutto e la vita è proprio questa “spasmodica danza” nell’oscurità del proprio animo, fluttuando tra relitti di memoria che si stagliano urlanti e ubriachi di dolore e con cui ci troviamo a fare inevitabilmente i conti “inebriati da un tempo sciamano”.

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