PERCORSI FOTOGRAFICI : IL MORMORIO DEL GHETTO
E’ un sabato mite di ottobre, quando decido di andare a passeggiare tra i vicoli di Roma, con la mia Canon eos 70 D appesa al collo. Era già da qualche giorno che preparavo mentalmente la mia passeggiata fotografica al Ghetto: un quartiere ricco di fascino, dove secoli di storia si incontrano e si fondono, quasi in un unico abbraccio. A darmi il benvenuto c’è la famosa “fontana delle tartarughe” che, inglobata nel quartiere ebraico, rappresenta un dono d’amore e di potere da parte del duca Mattei per la sua amata e la sua famiglia, tutta. Le quattro tartarughe sono attribuite a Bernini, contributo che dona ancor più prestigio alla fontana stessa.
Mi perdo tra i vicoli del quartiere,dove si respira il profumo dei ricordi di una storia indelebile che, paradossalmente, troppe volte è stata messa in discussione. Assorta in questi pensieri, lo sguardo, rivolto a terra, va a dei sampietrini speciali, color oro, con delle iscrizioni. Mi abbasso incuriosita e col desiderio di immortalarle con la mia macchina fotografica e mi rendo conto della importante testimonianza che quelle pietre rappresentano: sono le pietre d’inciampo o “stolpersteine” presenti in tutta Europa.
Le “pietre della memoria”, fanno parte di un progetto che parte nel 1995 a Colonia in risposta alla negazione, da parte di una signora, della deportazione, nel 1940, di 1000 sinti, nella stessa Colonia.
L’artista, autore del progetto, è il tedesco Gunter Demnig, che decide di ricordare gli oppressi del nazifascismo, installando queste pietre, su cui sono incisi i nomi e la data di deportazione delle vittime, in tutte le nazioni d’Europa coinvolte. Le pietre sono collocate proprio a ridosso delle abitazioni da cui ebrei, rom e omosessuali sono stati portati via con la forza e successivamente assassinati.
Continuando questo viaggio nel tempo e nella storia, mi ritrovo davanti a un luogo sacro: il portico di Ottavia. Pochi resti di un progetto maestoso, risalente al 179 a. C. , dove sacro e profano si fondono, fino a perdere i confini religiosi e storici di questo portico. Nel corso degli anni, oltre ad essere luogo di venerazione per la dea Giunone Regina, è diventato un omaggio per Ottavia Turina minore, sorella dell’imperatore Ottaviano Augusto, e nel medioevo sede del mercato del pesce.
Proprio su questi resti è costruita la Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, dove sembra gli ebrei fossero costretti a frequentare la predica fatta dai Padri gesuiti, allo scopo di convertirli.
Quasi a dispetto di questa tentata imposizione, volgendo lo sguardo, si mostra, trionfante, la Sinagoga o Tempio Maggiore. L’edificio, inaugurato nel 1904, doveva essere visibile da ogni punto della città.
La sua costruzione monumentale è la manifestazione di una tanto agognata parità politica, che la comunità ebraica ha guadagnato, anche per i meriti acquisiti con la partecipazione alle lotte risorgimentali. Di ispirazione assiro-babilonese, la decorazione fu affidata ai principali artisti liberty del ‘900.
Al termine del mio viaggio, tante sono le riflessioni sulla città eterna. Prima tra tutte (quella che mi stupisce ogni volta che alzo gli occhi al cielo o mi imbatto in qualche vicolo), quella più manifesta, è vedere che in essa convivono secoli di storia e di tradizioni, culture pagane e sacre allo stesso tempo, con la speranza o forse l’obiettivo, che le differenze culturali, religiose o antropologiche, vera ricchezza di una comunità, possano condividere lo spazio e il tempo, nel totale rispetto delle proprie identità e delle proprie origini.
di Eleonora Mangiapelo