In che modo ha selezionato la fotografia da esporre? Quale valore ha per lei e cosa desidera trasmettere agli spettatori attraverso questo scatto?
Tra le fotografie che avevo scelto come potenziali per la mostra, “Navigar nell’oro bianco” era quella che di più ipnotizzava lo sguardo e che poteva lasciar libera l’immaginazione di chi l’avrebbe guardata.
Come realizza i suoi scatti? E cosa può dirci in merito alla post-produzione?
Cerco di ottenere subito il meglio dallo scatto in termini di esposizione e messa a fuoco proprio per non dover abusare della post-produzione. Anche se poi può capitare di dover scattare qualcosa di inaspettato e, avendo l’abitudine di fotografare sempre in manuale, le impostazioni della macchina potrebbero non essere ideali in quel momento. Ecco che allora la post-produzione arriva in soccorso per recuperare lo scatto, inquadratura permettendo. Inoltre gli strumenti che la tecnologia ci offre oggi sono veramente notevoli e ti danno la possibilità di creare infinite atmosfere da una solo fotogramma ed è in questo momento che la post-produzione può diventar anch’essa un’arte.
C’è un tema ricorrente nelle sue opere? Se sì, quale?
Preferisco adeguarmi alla situazione e allo stato d’animo. Quindi qualsiasi istante è fotografabile.
Cosa rappresenta per lei la fotografia? Riuscirebbe a immaginare la sua vita senza?
Difficile immaginare la vita senza fotografia, è ciò che rende vivido un ricordo.
Ricorda ancora la prima foto che ha scattato? Se sì, quanto e come è cambiato il suo approccio alla fotografia nel tempo?
Ero bambino quando feci i primi scatti con l’aiuto di mio padre e quindi mi riesce difficile ricordare quale fosse il primo. Certo è che con il passare degli anni ho apprezzato sempre di più l’arte del fotografare e, dopo pause più o meno lunghe, ho fatto sì che questa passione fosse presente in pianta stabile nella mia vita.