L’opera “Il dono” sembra quasi una fotografia, un dipinto pieno di dettagli e particolari come i libri posati sulla scrivania sulla quale si appoggia dolcemente il soggetto principale. Quando e come le è venuta l’ispirazione per la realizzazione di quest’opera? Quanto impiega a realizzare i suoi dipinti?
“Trasferendomi a Torino, ho messo in standby l’arte per quasi 10 anni. Fino a quando in libreria ho trovato “Le Lettere” di Vincent Van Gogh: quell’uomo mi somigliava, sentivo che stava parlando proprio a me: mi ha salvata da una vita senza senso. Ho ripreso a dipingere e ho capito quanto l’arte sia importante per me. “Il dono” è un omaggio al pittore olandese, e l’input mi è stato dato da “Il lamento di Vincent” di Prevert; quella poesia mi ha scosso, ho immaginato la sofferenza di entrambi, ambientandola nella veranda di casa che avevo adibito a laboratorio artistico. La realizzazione avviene in qualche settimana, ma il problema (ma anche e soprattutto la gioia) è progettarli. È un lavoro giornaliero costante, anche solo di pochi minuti, ma deve esserci.”
“Dillo alla luna” è invece un’opera che nasconde un significato legato alla fertilità. Qual è il messaggio che vuole trasmettere allo spettatore, in particolare alle spettatrici, che si trovano davanti a questo dipinto?
“Alle donne vorrei dire di non perdere tanto tempo a farsi più belle di quello che si è. Il tempo è la cosa più preziosa che possediamo, cerchiamo di farlo fruttare come semi piantati, non lasciarlo andare come sabbia al vento. Facciamo qualcosa che resti quando non ci saremo più. Il mio motto è: Io sono mente, se non ti piaccio, ciaone! La fertilità che si stava allontanando da me l’ho vissuta con un po’ di sofferenza poiché si è allontanata la possibilità di un figlio. Tuttavia mi rendo conto che sono parte di me anche i miei lavori, che considero quasi come “figli”. L’arte è una terapia, è il mio amore, ne sono sedotta e a mia volta, con essa, seduco.”
“Preparare le tele, utilizzando lenzuola, federe, sacchi di juta, cercare e fotografare sassi o eseguire piccoli schizzi durante escursioni in solitaria fa parte del suo percorso creativo” scrive nella sua nota biografica. Qual è il suo supporto artistico preferito e quello tramite cui riesce ad esprimere meglio la sua creatività al di là del risultato finale?
“Sono autodidatta, purtroppo non conosco tante tecniche artistiche, mi adatto a ciò che la vita mi propone, assecondo gli stimoli che mi arrivano. Avevo grandi spazi e molto tempo e ho usato i colori a olio; con poco spazio e poco tempo sto usando le matite colorate, ago e filo. L’importante è esprimersi, creare.”
Qual è il suo rapporto con il pubblico? Ha mai temuto di esporre le sue opere per paura di ricevere giudizi negativi?
“Ho potuto esporre solo nel mio piccolo paese, d’estate, nei pochi giorni che si riempie di turisti. I loro volti ammutoliti che fissano le mie opere mi fanno capire che li apprezzano. Quando la mia collega ha messo il mio dipinto come sfondo del cellulare e un amico di Facebook ha detto che con le mie opere seduco, per me sono stati i più bei complimenti. Certo che non ho paura di giudizi negativi, ben vengano, mi aiutano invece, mi fanno riflettere.”