Il 16 marzo 1978 rappresenta uno dei giorni più bui per la storia della Repubblica Italiana. Gli anni di piombo hanno segnato profondamente la storia d’Italia, un paese dilaniato da una vera e propria guerra civile, sfociata nel terrorismo rosso e nero.
Le Brigate Rosse rapirono l’Onorevole Aldo Moro, esponente della DC, la mattina del 16 marzo mentre il parlamentare si recava alla Camera dei Deputati per votare la fiducia al neonato governo Andreotti. La macchina venne intercettata in Via Fani, a Roma: vennero uccisi i due Carabinieri a bordo dell’auto e i tre poliziotti della scorta, Moro fu invece sequestrato.
Il “sequestro Moro” durò ben 55 giorni. Aldo Moro scrisse, durante la prigionia, le sue “Lettere dalla prigionia”, indirizzate ai familiari, in particolare alla moglie Eleonora, nelle quali esprimeva le sue perplessità su come il Governo stesse trattando il suo rapimento, arrivando anche ad accusare, seppur velatamente, il Papa (“Il papa ha fatto pochino: forse ne avrà scrupolo”).
Dopo aver subito il cosiddetto “processo del popolo”, Aldo Moro fu letteralmente condannato a morte (“Concludiamo quindi la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato” dal Comunicato n. 9 delle Brigate Rosse). Il brigatista Valerio Morucci chiamò uno degli assistenti di Aldo Moro per dargli indicazione sul ritrovamento del corpo.
Il corpo dell’Onorevole Aldo Moro venne ritrovato all’interno di una Renault 4 rossa in Via Caetani a Roma.
Ecco cosa scrisse Aldo Moro in una delle sue ultime lettere: “[…] C’è in questo momento un’infinita tenerezza per voi… uniti nel mio ricordo vivete insieme… vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce sarebbe bellissimo.”
Foto in copertina: Paolo Cucchiarelli per ANSA