NEL RIFUGIO SICURO DELLA NATURA FLUISCONO LIBERAMENTE LE EMOZIONI, LA POESIA LIBERA E DONA VOCE AL GRIDO DI DOLORE STROZZATO IN GOLA…
«Non dimenticate che la terra si diletta a sentire i vostri piedi nudi e i venti desiderano intensamente giocare con i vostri capelli» (Khalil Gibran).
Dalla acqua, dalla terra, dall’aria della NATURA, nasce l’arte poetica di Elisabetta Ponsillo. Essa è il “Porto Sicuro”, il REFUGIUM che l’accoglie, dove mitigare il proprio dolore, lenire le ferite e ripartire osservandone e mirandone la “meraviglia”:
«La natura è il mio/Ricovero dal dolore…/Guardare il cielo notturno/Cosparso di luci/Guardare il sole/Al tramonto diventare rosso/Guardare un paesaggio/E rendersi conto della propria inutilità/Guardare un uccello/E scoprire la libertà/Sentire il vento sul viso/E capire di non essere soli/Sentire il profumo della Terra/E capire di appartenerle» (“Elisabetta Ponsillo”).
La Natura, grazie al suo LOCUS accogliente, ha un effetto benefico sulla poetessa, come una madre ridona ordine alla confusione, riuscendo a dar voce al grido strozzato nell’anima di Elisabetta:
«Ed è forse tutta qui/La causa della mia voce morta/La confusione/Il non saper dar grida al dolore/Urlo muto nella gola…/Grida l’anima qualcosa/Che non so ascoltare/Pesa un macigno nella gola…/Voglia di liberazione/Un giorno ritornerà la leggerezza/Ma adesso muoio…/In attesa della rinascita» (“URLO MUTO”).
Il nodo alla gola si scioglie:
«Avevo un nodo/che soffocava/in gola/Avevo un grido/che taceva/nel cuore/Avevo un respiro/bloccato/nel petto/Avevo un dolore/muto/senza ragione/Avevo parole grida/lacrime ferme:/Ho scritto./Tutto è diventato/gestibile:/ho visto l’alba!» (“AVEVO UN NODO”).
Fluiscono finalmente le lacrime e le emozioni…e proprio da esse ha origine la sorgente della poesia:
«Lacrime:/copiose cadete/Benedette/dalla lunga attesa…/Quanta sofferenza/trattenuta/Un abisso/che pian piano/si illumina/con piccoli raggi/di luce./Lacrime:/finalmente/solcate il mio viso/…/Ma resta il dolore» (“LACRIME”).
La poesia è la voce dei sentimenti, del dolore quanto dell’amore:
«Ci sono navi dirette verso molti porti, ma nessuna verso dove la vita non è dolore» (Fernando Pessoa).
L’essere poeta vuol dire abbandonarsi alle emozioni, affrontando la paura del “soffrire” e avendo la consapevolezza che nel cammino si potranno aprire nuove ferite. Ogni volta che succederà, Elisabetta si rifugerà nella natura e nell’arte per guarire e rinascere:
«Mi lacero un po’/ogni volta/ad ogni passo/verso la comprensione…/Mi lacero/costantemente/
ogni volta che/il mio pensiero/cerca di scovare/di scoprire …/Perché se un occhio odia/l’altro ama./Perché se il cuore/potesse scindersi:/una parte marcirebbe/l’altra gronderebbe sangue!» (“MI LACERO UN PO’ “)
I versi che nascono dal cuore, sommersi e trattenuti a lungo nell’animo, hanno allora un significato profondo. La storia personale è specchio della storia umana. Ogni parola ha un peso immenso. La poetessa ha un rispetto sacro per il VERBUM, consapevole che può uccidere, come far risorgere:
«Le parole hanno/significato/Hanno un peso/A volte sono peggiori/di uno sguardo tagliente/Sono potenti quanto/una detonazione/Sono violente/come pugnalate/Per me:/”Ti voglio bene”/è una cascata/un fuoco acceso/un tornado/un maremoto/Un nodo in gola/che non va più via/quando devi
Soffocarlo/Non puoi Gridarlo/Dirlo/nemmeno Sussurarlo/alla fedele Luna…/È un addio/senza/fine…» (“PAROLE SOFFOCATE”).
Il lettore che si avvicina a quest’arte scoprirà un modo magnifico per far finalmente volare il proprio EGO, la poesia può liberare il nostro “meraviglioso” mondo interiore:
«Hai un lago/di pianto nel cuore/Invisibile/per le lacrime/accumulate/non sgorgate…» (“EGO”).