LA POETESSA CHE RIPORTA IN VITA L’ANTICA GLORIA DELLA TERRA
L’opera poetica dell’eclettica artista Sonia Spagnuolo si fonda su un TOPOS, un locus, terreste e letterario, tradizionale e antico: la terra, la GE, la CHORA Italica. La poetessa la chiama con i suoi antichi nomi di Ausonia e Vitulia, omonimi titoli di altrettante poesie, delineando il luogo più precisamente nella penisola calabrese e la vicina costa ionica, in quel territorio denominato “Magna Grecia”, oggetto della colonizzazione greca del VI-V secolo A.C. Ora è importante capire che fissare la propria opera in questo Locus, vuol dire anche trarne il linguaggio (evidente l’uso di grecismi), l’ambiente, la tradizione, i miti e i valori. Senza trascurare il fatto che tale TOPOS è anche la patria dell’autrice. Tuttavia, addentrandoci nell’opera capiremo che la vocazione e la missione della poetessa Sonia è di far rivivere quell’antica gloria. Ma andiamo con ordine e vediamo le poesie programmatiche, anzitutto AUSONIA: “Ogni suo luogo è uno splendore!/di essi elogio ogni onore/terra di aspra e selvaggia bellezza/che con intimo ardore/nel seno occulta le sue fattezze/come i più grandi degli adulatori/amante lusingatore/la strazio, la amo e l’abbandono./Porto nel cuore ogni suo bagliore…/Di tante perle di eguale avvenenza/cantare voglio con destrezza…” (“Ausonia) e VITULIA: “Tenebroso e occulto scenario/Terra avvelenata da sangue malsano!…/Subisce l’onnipotente ‘ntrinna abiura/Potente e grande allunga la sua ombra/Su terra fiorente ed ebbra di cultura/Cullata dal luccichio argenteo del mare/Con angoli di piccoli paradisi abbagliare/Vissuti da popoli di grande civiltà…Conserva altresì nel suo grembo/Un nascosto germoglio fiorente/Partorito da latina gente/Inseminata degli Achei erranti/Un dì lontano nel tempo/Quando essa ammirata e splendente/Dominava incontrastata e asserente/Un mondo di fulgente beltà!/Di speranza il mio cuore ricolmo/Che ai suoi fasti un dì, la mia amata terra, ritorni.” (“Vitulia”). Queste due opere ci spiegano l’idea, introducono il fondamento poetico. Una terra che trasuda le sue grandi origini, nel mare, nel sole, nel dialetto, nella toponomastica, nelle tradizioni, nel cibo nella ospitalità. Un mondo che fu greco e poi latino. Le due civiltà che hanno creato proprio “la civiltà” e un modo di pensare, di essere. Popoli che generarono la filosofia, la cultura, la democrazia, l’urbanizzazione, i miti. Sonia sa, perché oltre che artista eclettica è anche donna di immensa cultura, che tutto nella sua terra parla di ciò, perché le radici dell’albero sono quelle. Nell’aria c’è il profumo di queste grandi origini. Eppure, la poetessa soffre nel vedere questo topos macchiato di sangue e non degno degli antichi fasti, dominato da valori iniqui: “Terra! Amata mia terra,/di dolore, sangue e lacrime sei intrisa… scaldata dal sole, sembri un paradiso/che abbaglia gli occhi di uno sguardo deciso./Un sentimento d’impotenza/ Abita nel cuore …” (“Terra Amara”). Allora la missione (il telos) di Sonia è ridare fasto al locus e al tempo stesso far risorgere e conoscere quel glorioso arcaico. Mostrare quella antica terra calabra, richiamarla con i versi e le immagini che ne vengono fuori. Dove Ausonia e Vitulia non sono solo regioni fisiche ma anche letterarie, culturali, tradizionali. Una lingua e un linguaggio che attinge da Omero, Pindaro, Aristotele, Platone, Socrate, Esiodo, Cassiodoro. Per prepararsi a ciò, la poetessa effettua una sorta di reminiscenza, recupera, cioè, in un viaggio interiore il LOGOS (la parola, il pensiero) degli antichi padri: “È severo esame interiore/Ritrovare il lume del logos./Affascina esso l’ingegno,/dentro sé desiderio di ricerca,/via unica della conoscenza/di tensione spirituale costante./Nutrir così la mente/di meditazione e saggezza./Ritrarsi al mondo/È spirito del sapiente!/Partorir conoscenza/Agire contemplando l’eterno/Come pellegrino errante/Sospinto, animato amante/intra segreta contemplazione/del contingente, austero fato” (“Sobrie riflessioni”). Si tratta di una via della conoscenza che porta all’apprendimento della forma e del MODUS corretto da utilizzare per la propria missione: far percepire al lettore gli antichi fasti e in un certo senso riportarli in vita, rendendoli presenti e immortali tramite i propri versi. Il Logos degli antichi padri è già di per sé fondante. Ecco che allora prende vita la poesia POLITEIA. Termine del greco antico per “costituzione”, ma dal significato ben più ampio e complesso. Per i greci indicava al tempo stesso il regime politico, il corpo civico e il diritto di cittadinanza, con alla base il concetto aristotelico del cittadino come colui che partecipa della politéia: “Oh! Leviatano di arti e membra intorpidite/Un giorno ti levasti a soggiogar le belle genti/A render lor le membra schiave./Pago potesti in trono sederti!/Del prezioso bene privasti e soggiogasti/Domarlo e imprigionarlo un dì /Chiudendolo nell’otre di Pandora./Gli antichi ti schiacciarono oh! Tiranno /Per conquista la “Politeia”./Oggi nuovamente sorgi/A cuori corrotti dal proprio edonè…/Dimentichi dell’Aretè e dell’ethos/Che a cuore stanno alle virtuose genti” (“Politeia”). Poesia eccezionalmente piena di richiami mitici e culturali. Geniale la figura del Leviatano che è duplice figura sia biblica che filosofica. Nell’Antico Testamento il terribile mostro marino rappresentante il caos primordiale, la potenza priva di controllo, ma anche L’espressione della volontà divina e il “simbolo della potenza del Creatore”. In filosofia il “Leviatano” è un’opera di filosofia politica scritta da Thomas Hobbes nel 1651. Rappresenta simbolicamente lo Stato come un grande corpo le cui membra sono i singoli cittadini. Tale opera è considerata la teorizzazione e l’atto costitutivo dello stato assoluto moderno. L’autorità dello stato è pari alla porzione di libertà individuale che ognuno gli delega con la rinuncia, per vivere in pace, ad esercitare i corrispondenti diritti collegati a tale libertà. Sonia riesce col linguaggio dei padri a mostrare una civiltà moderna corrotta e fondata sul piacere, dove ognuno pensa al proprio ego e non certo alla Politeia. Dunque l’autrice arriva a chiedere una resurrezione del Leviatano per rifondare una nuova società tutto sugli onesti cittadini, con i loro valori di virtù ed etica. La poetessa “eletta” è in grado di sentire e far rivivere ogni epoca, il silenzio dei luoghi tramite essa inizia a parlare, gli antichi borghi raccontano la loro storia: “A passi lenti e stabili/avanza tra i vicoli silenziosi,/intrisi d’antica storia…/Lo sguardo accarezza/con nostalgica pacata felicità,/quei luoghi familiari./Mille aromi aleggiano/tra le ricurve ed accoglienti viuzzole/del Borgo medievale,/profumi di saggezza e gloria/richiamano alla memoria/le lontani voci e i suoni d’ogni dove,/di audaci cavalieri, temibili Signori…/ vissuti tra quei gloriosi luoghi /scenari di misteri e solenni eventi,/che il cuore infervorano/del passante attento.” (“La voce del Silenzio”). Sonia sa di essere un’achea, una donna della grecia antica venuta per mare a colonizzare terre lontane, questa coscienza genera addirittura in lei nostalgia, perché il suo vero tempo è quello arcaico: “Sono nata in un tempo non mio/Straniera del loco natio/Conosco dell’essere ogni segreta emozione…/Sopra le onde, mai dentro il mare!Nata da un seme cullato dal vento…” (“Pazze Verità”). Consapevole e convinta della propria missione, vissuta come un tumulto interiore: “Nel cuor alberga l’implacata tempesta./Un tumulto d’emozioni turbolento…” (“Tumulto Segreto”), Sonia vede e vive comunque il contrasto della bruttura e del deturpamento del mondo presente (soprattutto nella perdita di valori) contro la bellezza del saggio passato. I “silenzi” strazianti del topos (terra e corpo) che non può raccontare, narrare, vivere si riflettono sull’anima, allo stesso tempo anche Genius Loci, che ne rimane ferita e annientata: “Incontro con una novella voce…/nei contorni di un’esistenza/d’incessante dinamica eloquenza/mossa da dolore tagliente e atroce,/in un labirinto di ricordi lancinanti/di silenzi devastanti/di amarezza angosciante/di mali deturpanti./Suono di un’ombra/che scruta la bruttura di una vita vissuta/le ferite di un corpo anima lacerata/memoria annientata…” (“Soffio d’essenza”). La poetessa, allora, come un semidio o un eroe greco, un Achille o un Ulisse, come un poeta o un filosofo, un Omero e un Socrate, VUOLE e DEVE riuscire a riportare in vita la memoria per far risorgere le antiche verità: “Ora ritrovata/è tempo di consumare/le verità abbandonate/e nulla in sospeso lasciare/nelle coscienze lacerate” (“Soffio d’Essenza”). Il lettore, dunque, che si avvicinerà a queste egloghe, si troverà catapultato lontano. Lui stesso, grazie a Sonia, saprà riconoscere che in quel remoto vissero i suoi padri e in quel tempo la sua terra brillava di uno splendore umano, civile, culturale e spirituale. Se leggendo col cuore e con l’anima saprà: “Catapultarsi felicemente in variopinte/visioni simultanee, oniriche e iridescenti/Elevandosi a sublime, elegante gaiezza/di dolce assoluta vita di poetica bellezza…” (“Intima Egloga”), anch’egli insieme alla poetessa rivivrà una nuova “età dell’oro” e si sentirà poi in dovere di fare lo stesso nella propria patria presente.