LE MANI CHE SFIORANO IL FOGLIO COME UN PIANOFORTE FANNO NASCERE UN VENTO SOAVE CHE FA RISUONARE I CAMPANELLI SUI RAMI
L’opera poetica dell’autrice Luisa Salvagno Neve si fonda su due caratteristiche essenziali: una dolce e soave musicalità dei versi e delle immagini da essi create e gli antichi colori di una terra lontana. Nel primo caso, come le dita affusolate della pianista soavemente sfiorano i tasti generando musica, così le stesse sfiorano il foglio con la piuma d’oca creando versi. Nel secondo caso, il cuore della terra della nonna batte dentro di lei: l’Armenia. Un popolo di grandi artisti, miniatori, persone spirituali e di fede, la cui memoria è stata strappata da un genocidio cruento, che ne ha raso al suolo volontariamente la cultura, la religione e la memoria storica: “Quando si conosce cosa sia la morte,/quando la si è vista da vicino,/sappiamo piangere anche/per un piccolo uccello caduto nel terrazzo” (“È precipitato”). In due luoghi miracolosamente, però, l’Armenia rivive ancora: nel ricordo umano (come nella nonna di Luisa) e nei luoghi come l’isoletta sperduta di Venezia di San Lazzaro degli Armeni. Ricordare la cultura e la tradizione è salvare un popolo! In essa codici miniati e altre testimonianze, sono sopravvissute alla distruzione e vivono ancora in colore e spiritualità. Tutto ciò è alla base dell’ARS poetica dell’autrice: memoria e cuore di una terra splendente, poesie come melodie che dipingono icone viventi. I versi della poesia programmatica ci mostrano una splendida immagine, che può simbolicamente rappresentare l’opera, cioè rami d’albero con campanelle attaccate che risuonano dolcemente allo spirar del vento, voce degli antenati, del sangue, di Antonia Arslan, di Daniel Varujan, di san Gregorio di Narek: “Son cresciuti nel giardino/da soli, senza la mano di nessuno,/i Muscari d’Armenia./Hanno il colore compatto/del cielo di settembre,/azzurro vivo, intenso/e tu non sai se preferire la forma/del ramo pieno di campanelli/o il loro colore./Per me, poi, c’è un altro motivo per amarli,/vengono dall’Armenia, la terra natale della nonna,/la terra che amo come fosse mia” (“Muscari”). Memoria sono le stesse persone: “Con l’amor di patria nel cuore./Forse questi ricordi di dolore ma di gloria/li sollevano un poco dal peso degli anni,/sentono di aver compiuto qualcosa di grande” (“I Vecchi”). Citando Gregorio di Narek possiamo meglio capire: “Alla mia anima che è morta,/rendi il soffio vitale…” (“Guardami o Misericordioso”, Gregorio di Narek). Questo è ciò che fa Luisa, con una piccola precisazione, in questo caso il “soffio vitale” è dato dall’autrice tramite i suoi versi e corrisponde allo generare una nota sul pianoforte. Poesia vivificante! Ciò che è stato ingrigito riprende colore, ciò che fu dimenticato torna alla memoria, ciò che è stato vissuto in prima persona diventa eterno e comunitario, significante e significato allo stesso tempo. Come testimonia l’autrice armena Antonia Arslan, un ruolo fondamentale hanno le donne, poiché esse, sopravvissute, fanno rivivere il loro popolo nella memoria della cultura e delle tradizioni. Luisa ci dona in versi una miniatura raffinata, a riguardo, rifinita in una dolcezza e in una bellezza di colori, nero, giallo, azzurro, rame, oro, mogano: “Da dove vieni donna bruna,/riccioli inanellati/o capelli lisci, lucidi come raso di seta nera?/Da dove vieni donna dai capelli biondi/fili d’oro del color del sole/e per occhi azzurri, due pezzetti di cielo?Da dove vieni donna dai capelli di fuoco,rame, mogano e oro rosso,/che scuoti con orgoglio?…/È tua la dolcezza e tua anche la forza,/la forza per sopportare./Sai piangere e sperare, ridere e danzare…/Da un mondo di bellezza vieni/Donna,/per combattere e per amare!” (Donna”). L’amore e la poesia rendono liberi! Quanto è profondo questo pensiero per chi fu deportato in catene? “La libertà vera/è libertà di amare e di sognare/è libertà di pensare e di parlare…/la libertà del cuore/è respiro profondo/è ali per volare…/in cieli liberi e sereni,/è tanto azzurro/e orizzonte infinito/La libertà del cuore/è tutto nella mente/è tutto nell’anima” (“Libertà”). Eppure, è esplicitato il nobile ed elevato scopo, il messaggio finale della poesia: “Oh se potessi lasciare nel vento/qualcosa di me/qualcosa di me per tutti…/Se potessi lasciare nel vento /l’amore ricevuto/l’amore donato/e la tenerezza./Se potessi lasciare nel vento/il profumo dei fiori che ho amato/le melodie che ho ascoltato/quelle che ho suonato./Se potessi lasciare nel vento/i momenti di felicità/lo stupore per le piccole cose/e l’amore per il Creato,/spargendo qualche buon seme,/credo che allora/potrei salutare la mia Terra/con gioia/innalzando a Dio /lodi di ringraziamento”. Parole soavi. Ogni lettore che si avvicina a questi versi, con certezza dirà che il fine è stato raggiunto. Come nella “Masseria delle Allodole”, leggendo l’opera di Luisa, egli sentirà venire da lontano una brezza d’Amore, Colore e Memoria: “Colline dolci/nel sole autunnale/che esalta il colore della pietra,…/antico e meraviglioso mulino/sei poesia e immagine/di paesi ventosi…./Vorrei restare in questo luogo incantato/ad aspettare il vento;/metterei un sogno/in ogni pala/e guardandole girare/mi sentirei nell’ infinito” (“Il Mulino”). L’autrice riesce nell’intento, è lei a soffiare nelle pale del Mulino. Torniamo all’immagine dei campanelli sui rami: il vento della sua poesia li muove producendo dolci melodie, che toccano le corde del cuore e dell’anima e fanno vedere e rivivere la sua terra (patria interiore ed esteriore). Ed eccola viva nuovamente per merito tuo poetessa! “Dai villaggi fino agli orizzonti/si estende la nostra maternità di terra./È arrivata la primavera. La neve leggera non basta più/per nascondere la nostra gravida nudità./Ritornate al nostro seno, contadini./Le mattine hanno già odore di aprile;/esplosi dal ghiaccio i ruscelli mormorano;/dal nostro caldo fianco è già germogliato il narciso./Venite; noi aspettiamo le vostre palme piene di seme/con il silenzioso desiderio delle donne;/il raggio del sole si è già piantato nei nostri cuori” (“Il canto del pane”, Daniel Varujan)