ACROMORALI

MINIMA ACROMORALIA OMNIBUS

L’autore “Acromorali” ha creato diverse sillogi poetiche di successo, su svariate tematiche. Col filone delle “Acromorali”, pseudonimo e titolo originalissimo da lui inventato, si consacra all’uso dello stile vernacolo-dialettale del romanesco e sancisce definitivamente una delle basi della sua opera: l’ironia. La scelta del dialetto permette affermazioni e allusioni esplicite, senza giri di parole. Una parlata franca e diretta che parte dal basso. L’autore con giochi parole, indovinelli, “burlesque”, scherzi, doppi sensi e allusioni, tesse una veste poetica alla sua opera, riuscendo a inserirla tanto nel filone letterario tradizionale del Belli e di Trilussa, quanto in quello della “romanità” delle “statue parlanti” come Pasquino o di Alberto Sordi, la Sora Lella e Proietti. Eppure, il lettore attento, saprà capire non c’è “sotto il vestito niente”, ma anzi c’è sostanza eccome. Tra i poeti citati, quello che maggiormente sembra ispirare il nostro autore è Trilussa. In primis per l’eccezionale uso del romanesco e per il “farsi riconoscere” della saggezza e schiettezza romana. In secundis perché questi “omoni” (Trilussa era quasi due metri), dietro il vernacolo, nascondono una profonda sensibilità e un grande “core”. Pur nell’ironia è evidente la presenza, infatti, di un importante “moralismo”. Vale a dire: la realizzazione di un codice morale elementare che sia comprensibile e accessibile a tutti. Questo è il fine di “Acromorali”. La preparazione è molto elaborata e complessa. Pensiamo alla classica morale finale di una favola di Esopo. Il poeta parte da questa e, dopo un intenso “labor limae”, genera versi che la sappiano raccontare ironicamente e insegnare. La parte iniziale “acro”, invece, è frutto sia di una desacralizzazione e smorzamento dei toni, sia della constatazione della perdita di valori nel mondo odierno. Uno dei migliori esempi di quest’arte è la poesia sulla “dignità” del pane: <> (“LA DIGNITÀ DER PANE”). Acromorale: il pane non va sprecato, oggi si buttano tonnellate di cibo. Questo prezioso alimento, nella saggia cucina popolare romana, viene usato anche per ripulire i piatti (“la scarpetta”) e quando è rinsecchito diviene la base del gustoso piatto della “panzanella”. Altro esempio di ciò, lo troviamo nei geniali versi sul “carciofo”, che si difende contro un cervellone opulento: << "Scusateme davéro, cervellone./Qui nun ce so' venuto, m'ha portato/quarcuno dar bancone der mercato."/Rispose lì er carciofo cor trippone./"So' campagnolo, semplice e verace./E' vero quer proverbio che me mette/qui sempre 'n mezz'a tutto e alle ricette,/perciò nun sbraita' tanto e datte pace./Eppoi la SCENZA e la semplicità/ce stanno propio bene drento ar piatto,/nun solo, se romano, come fritto,/ma puro pell'intera Umanità>>. (“LA SCENZA DER CERVELLO E DER CARCIOFO”). Acromorale: il sapere e la semplicità sarebbero un’ottima coppia per la società, senza che i sapienti se la tirino troppo e usino un linguaggio astruso incomprensibile. L’ispirarsi al maestro è evidente: “C’è un’ape che se posa su un bottone de rosa:/lo succhia e se ne va…/Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa” (“Acqua e Vino”, Trilussa). Insomma la parola d’ordine è semplicità: <> (“SEMPLICITÀ”). Questo principio è la chiave di lettura per il resto dell’opera di Acromorali, incentrata sulla tematica amorosa. Per spiegare l’Amore in termini semplici, prima esso va decontaminato da elementi complessi (applicazione della semplicità) e poi va in un certo senso “smontato”, prendendolo il giro (applicazione dell’ironia). Questo processo viene effettuato in lingua italiana e non in dialetto, poiché l’uso del vernacolo è successivo a questo “labor limae”. SEMPLIFICARE. Per vivere veramente l’Amore, uno dei concetti basici è che bisogna essere in due: “L’amore../Vive solo se fa coppia di progetti…” (“L’AMOR-AMORE”). L’altro è che bisogna farsi avanti, per non sprecare l’occasione: “Prendi la mano a chi vuoi vicino…” (“PRENDI LA MANO”). IRONIZZARE. Molto divertenti i versi che smontano: <> (“CHIAMAMI AMORE”). La decompressione del complesso chiude il cerchio sul poeta stesso: <> (“CREDERE AI POETI”). Eppure piace al lettore cercare un ultimo l’implicito, un doppio senso, gioco tipico delle “statue parlanti”. La prima poesia si conclude con un’invocazione allo specchio parlante (come Pasquino?): <> (“UN SALTO PER AMARE”). La seconda è dedicata all’Amor. Mettiamola davanti allo specchio parlante e diventa ROMA…nel gioco del palindromo, perfettamente calzante con tutta l’opera di AMOR-ROMA. Il lettore può, allora, avvicinarsi veracemente ai versi di questo poeta, che per generarli ha intrapreso un lungo percorso, rendendoli infine “Minima Acromoralia Omnibus”, arte in dialetto per tutti: popolani e sovrani…

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