Eravamo io Biagio e Clara, la nostra sorella più piccola. Passavamo i nostri pomeriggi in spiaggia, eravamo piccoli, io avevo circa otto anni, Biagio dieci e Clara ne aveva sei. Ci stavamo divertendo a giocare a lanciarci un ramo ricurvo.
“Prendilo!”, urlai a Biagio che non se lo aspettava e che gli sfuggì.
Avevo fatto un lancio lungo ed era finito dall’altra parte di una piccola montagna di sabbia.
“Ci vado io”, disse Clara.
La vedemmo sparire dall’altra parte del piccolo avvallamento.
Dopo un attimo la sentimmo urlare:
“Hei, correte!”
Pensai avesse trovato qualche esemplare di conchiglia particolarmente grande, o forse qualche esemplare di pesce strano ed esotico. L’estate scorsa avemo rinvenuto un piccolo squalo spiaggiato, ormai senza vita. Accorremmo, ma quando superammo la duna vedemmo qualcosa che ci lasciò stupefatti. Davanti a noi, su di una grossa zattera era legato un essere gigantesco. Un ammasso di muscoli con due piedi enormi e due mani come pale di un escavatore. Pareva senza vita. Ci avvicinammo circospetti, tenendoci a distanza di qualche metro. Clara invece gli stava vicino, come se non avesse paura.
“É morto?” chiesi a Clara. Mi sembrava che lei dovesse saperlo.
“Non lo so”, rispose.
“Ho un’idea, toccalo con questo”, propose Biagio tendendomi un ramo che aveva raccolto da terra.
“Fallo tu!”, rilanciai.
Quel coso poteva risvegliarsi da un momento all’altro e non volevo certo io essere il piccolo essere che si sarebbe visto davanti non appena avesse aperto gli occhi.
Biagio si avvicinò e tese il ramo fino a toccare la pancia del mostro.
Non appena lo fece, sentimmo un grido lacerante nell’aria e scappammo a gambe levate.
Quando tornammo mezzora dopo con i nostri fratelli più grandi constatammo che Clara era rimasta con il mostro, ma che per fortuna non le era successo nulla. Il mostro poi sembrava non essersi mosso per nulla, giaceva come lo avevamo lasciato.
“Eccolo, è laggiù”, indicai con la mano a Roberto, mio fratello più grande.
Era molto più grande di noi tre, ed era un adulto. In quanto tale, si preoccupava sempre di noi.
“Perchè l’avete lasciata sola, qui?”, chiese.
Ma quando eravamo scappati non c’eravamo accorti di lei, tanto eravamo presi dal fuggire, il più presto possibile.
Quando Clara ci vide arrivare accorse verso di noi tutta felice. La abbracciai, era salva.
“Gig, gig, gig”, urlava.
“Sì è un gigante”, confermai.
Roberto si avvicino, anche lui non aveva paura come Clara, di inginochiò e si mise ad osservare la creatura.
“Che diavolo è?”
Luca un altro mio fratello, prese un piccolo coltello e tagliò una delle corde che legavano una mano della creatura.
“Tiriamolo fuori di qui”, propose.
Fu presto fatto o quasi. Luca e Roberto e un paio di loro amici che erano venuti a vedere lo issarono sulle spalle e a fatica lo caricarono su di un camioncino.
Era enorme, prendeva tutta la larghezza del cassone.
Meno male che era una spiagga deserta quella e non c’erano case vicine, altrimenti chissà quanta gente avrebbe attratto.
Una volta che fu caricato, Roberto chiese ad uno dei suoi amici che cosa farne ora.
“Penso che… il mio granaio è vuoto potremmo portarlo là, per il momento”
“Non mi sembra una cattiva idea”, disse Roberto.
Partimmo e facemmo una strada secondaria per non dare nell’occhio.
Quando arrivammo a casa dell’amico di Roberto vedemmo sua moglie nel cortile.
“Santo cielo”, esclamò non appena vide il carico del furgone.
“É vivo, mettiamolo nel granaio”, propose suo marito che era già smontato per rassicurarla.
“Gianni perchè… perchè qui?”, chiese lei.
Piu tardi, era già sera, ci riunimmo tutti nel soggiorno della casa per decidere cosa fare della bestia.
“Dobbiamo avvertire la polizia”, propose qualcuno.
“Giusto sono affari loro”, confermò l’amico di Roberto.
“Va bene, ma nel frattempo?” chiese Roberto.
“É un mostro, non sappiamo che cos’è e cosa ci faceva su quella zattera”, disse un altro.
“Pà”, era il figlio del padrone di casa.
“Che c’è?”
“S’è svegliato!”
Prendemmo delle torce ed uscimmo dalla casa diretti al vicino fienile.
Il mostro era seduto su due grosse balle di fieno che per la sua stazza sembravano dei balocchi da bambini e appena entrammo ci guardò senza muoversi.
Roberto si avvicinò e con una voce tentennante ed incerta disse:
“Ehm… salve!”
Gli occhi della bestia si muovevano gurdandoci ma sembrava non capire cosa volessero quei nanerottoli davanti a lui.
“Non so se mi capisci, ma vogliamo sapere da dove vieni”, ritentò Roberto.
Ma anche quel nulovo tenativo non sortì nessun effetto.
Allora provò con il linguaggio dei gesti.
“Da… dove… vieni?”
Allora qualcosa successe mosse le mani ad indicare qualcosa su cui scrivere e con l’altra imitò una matita per scrivere.
Gli furono subito date un piccolo taccuino e una penna.
Scrisse qualcosa che non riuscimmo però a decifrare.
Roberto gli chiese se aveva fame, sempre gesticolando, lui fece lo stesso gesto.
Così gli demmo una grossa pagnotta, con un pollo mangiò quasi in un unico boccone.
Lo lasciammo nel fienile era ormai notte, per sicurezza chiudemmo il portone con un grosso lucchetto. Era meglio che per il momento quella bestia stesse lì dentro per non seminare il panico lì vicino, alemno per quella notte.
To be continued…….
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