Da una parte una grande foto di un’America Latina “oscurata” dal profilo sorridente di una bambina colombiana; dall’altra, le antiche mura difensive di Roma che, nel museo gioiello ospitato al loro interno, accolgono e proteggono le storie di bambini in fuga da alcuni tra i Paesi più pericolosi al mondo. Come Honduras, El Salvador e Guatemala, dove nel 2015 sono stati ben 17.400 i decessi per omicidio. E a pagare il prezzo più alto di questa violenza dilagante sono sempre i minori, vittime di estorsioni, abusi e sfruttamento. Tra chi si oppone a tutto questo, c’è l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) che, grazie a progetti come “Peace for Children”, sostenuti dalla Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la Protezione civile della Commissione europea (ECHO), offre a chi scappa protezione e accesso ai diritti di base, a partire dall’istruzione. E proprio a chi fugge è dedicata la mostra “Ti racconto la mia storia”, approdata al Museo delle Mura di Roma e visitabile gratuitamente fino al prossimo 12 novembre.
Un percorso espositivo che racconta la nuova vita di chi si lascia alle spalle luoghi devastati dalla violenza, dal dolore e dalle ingiustizie. Come Anderson e Jairo, due fratelli di 17 e 14 anni che, prima di andarsene, ogni giorno nel tragitto verso la scuola hanno rischiato di essere rapinati, uccisi e reclutati forzatamente nei ranghi delle bande criminali. Oppure Rigoberto, 16enne, un indigeno colombiano che dal 2010 si trova in Ecuador insieme alla sua famiglia. Sono rifugiati, scampati al conflitto tra le FARC e l’esercito. O ancora Clara, 15 anni, che vive al confine con la Colombia nello Stato di Táchira, in Venezuela. La sua passione per il calcio inizia da bambina, quando comincia a giocare con la squadra maschile nella sua comunità. Oggi Clara, nonostante sia cresciuta, trascorre il tempo allenando i piccoli studenti di una scuola. Un istituto aperto grazie a un progetto promosso da ECHO e sostenuto dall’UNHCR. Con lei, vivono i suoi familiari, rifugiati nel Paese da circa 16 anni, dopo essere stati minacciati da gruppi armati colombiani.
Gli scatti in mostra di Ricardo Ramirez Arriola, Regina De La Portilla, Miguel Gutierrez, Tito Herrera, Santiago Escobar Jaramillo, Viviana Murillo, Encarni Pindado, Daniele Volpe e Luis Eduardo Parada Contreras, realizzati negli ultimi due anni in Ecuador, Guatemala, Honduras, Messico, Venezuela e Colombia raccontano la quotidianità delle persone in fuga, per fare luce in particolare sui milioni di bambini che oggi non possono andare a scuola a causa di emergenze umanitarie. Per Silvia Ermini, Team leader per l’America Latina di ECHO, «l’istruzione in luoghi sicuri non rappresenta solo un obbligo salva-vita, ma anche l’unica maniera per garantire un futuro a questi Paesi. Per quanto ci riguarda – aggiunge – con il finanziamento avuto dall’Unione europea grazie al Premio Nobel ricevuto, anni fa abbiamo attivato un percorso che ancora oggi sosteniamo economicamente. Si tratta di Peace for Children, e con lui offriamo istruzione e protezione a chi vive in situazioni di conflitto». D’altronde, come spiega Renata Dubini, Direttrice dell’Ufficio per le Americhe di UNHCR, «la corruzione e la criminalità in America Latina e nel Centro America sono fenomeni dilaganti e radicati; in molti territori lo Stato è assente e i cittadini non credono più nella sua capacità di garantire protezione. Certo – precisa la Dubini – la presa di coscienza di una situazione ormai insostenibile da parte delle istituzioni c’è. Inoltre, bisogna riconoscere un loro impegno importante nelle attività di contrasto alla violenza per le strade, in casa, sul lavoro. Ma restano le piaghe peggiori, quelle sui bambini, come le estorsioni, il reclutamento forzato, gli abusi», conclude la Dubini.
Nel 2017, fino ad oggi, sono più di 42mila i richiedenti asilo negli Stati Uniti dal Centro America. Sono persone in cerca di sicurezza, legalità e diritti di base, come l’educazione per i minori e l’accesso al mercato del lavoro. In mostra a Roma, sono presenti solo i volti di chi già da tempo si è riappropriato di un po’ di normalità: nelle foto c’è chi prova a suonare la batteria, chi a calciare un pallone, chi è tornato sui banchi di scuola e chi, semplicemente, vuole sorridere. Come la piccola colombiana dello scatto di Santiago Escobar Jaramillo, perché «è così che dovrebbe essere. I bambini, tutti, sono il simbolo della spontaneità, della purezza, della felicità che si manifesta con un semplice sorriso», dice il fotografo. La mostra, di cui è media partner Il Messaggero, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dall’UNHCR, con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura. E’ finanziata da ECHO.
Per informazioni: http://www.museodellemuraroma.it
di Sabrina Quartieri, il Messaggero