Ha vinto l’autore di «Quel che resta del giorno» e «Non lasciarmi», che «nei suoi romanzi ha svelato l’abisso sotto il nostro illusorio senso di connessione con il mondo»
Il Nobel per la Letteratura 2017 è andato a Kazuo Ishiguro per «i suoi romanzi dalla grande forza emotiva in cui ha svelato l’abisso del nostro illusorio senso di connessione con il mondo». Lo stile di Ishiguro, ha detto la segretaria permanente dell’Accademia, Sara Danius che ha dato l’annuncio, «è un mix di Jane Austen con Kafka a cui aggiungerei un po’ di Proust». «Un magnifico onore» l’ha definito lo scrittore, raggiunto dalla Bbc.
Mentre i bookmaker puntavano sul giapponese più amato dagli occidentali, Murakami Haruki, l’Accademia di Svezia ha deciso per un riconoscimento a metà tra Giappone e Gran Bretagna. Kazuo Ishiguro, nato a Nagasaki nel 1954, si è infatti trasferito con la famiglia in Inghilterra nel 1960, dove ha studiato e iniziato a lavorare come sceneggiatore televisivo.
Una doppia identità che si esprime nelle sue opere, scritte in lingua inglese (per la ventinovesima volta il premio è andato a uno scrittore anglofono). Mentre il tema della memoria e delle radici sono centrali nei primi romanzi di ambientazione giapponese (Un pallido orizzonte di colline 1982, Un artista del mondo fluttuante, 1986), nei successivi Ishiguro ha privilegiato atmosfere inglesi, come in Quel che resta del giorno, forse il suo romanzo più celebre, vincitore del Booker Prize nel 1989. Il libro, scritto in forma di diario, è un’elegia dell’amore-rinuncia, incarnata nella figura del maggiordomo Stevens, completamente devoto al suo lavoro, e, allo stesso tempo, una minuziosa rievocazione delle atmosfere e della vita dell’aristocrazia inglese negli anni Trenta, mentre monta la minaccia nazista. Dal libro il più britannico dei registi britannici, James Ivory, ha tratto il film omonimo con Anthony Hopkins e Emma Thompson.
Nel 2005 Ishiguro vince il Premio Alex con il distopico Non lasciarmi, dal quale viene tratto un film diretto da Mark Romanek. Un romanzo allegorico che partendo da una storia di clonazione affronta i grandi temi della letteratura: l’innocenza, la morte, la colpa.
Il suo settimo romanzo, Il gigante sepolto (pubblicato in Italia da Einaudi come gli altri), esce a dieci anni di distanza dal precedente e Ishiguro, dando prova della sua straordinaria capacità inventiva, cambia radicalmente genere, spiazzando i suoi lettori più fedeli e anche parte della critica. Si tratta infatti di un romanzo mitologico che mescola storia e fantasy, ambientato nella Britannia del V secolo, con orchi, draghi e giganti. Un libro che richiama immediatamente Tolkien, dove il tema della memoria torna, in qualche modo, ad essere centrale: una coppia affronta un viaggio per vincere la nebbia della dimenticanza e cercare il figlio che sa di aver avuto, ma non sa perché ha perduto.
di Cristina Taglietti, il Corriere della Sera