Al Vittoriano di Roma oltre 60 opere dal museo Marmottan
Monet, infatti, non si era voluto separare da essi, per il timore che non fossero capiti dalla critica e dal pubblico”, non sempre comprensivi del suo percorso rivoluzionario. “L’artista non aveva tempo per spiegare la sua evoluzione, voleva solo dipingere”, prosegue de Carolis sottolineando come in tal modo quei fondi siano un condensato della straordinaria modernità di Monet.
Un aspetto molto privato, intimo del maestro francese, aggiunge la curatrice Marianne Mathieu, che è riuscita a portare nella mostra romana circa la metà delle opere di Monet riunite al Marmottan. Se infatti è ben noto il sarcasmo suscitato nel 1874 dall’esposizione di ‘Impressione, levar del sole‘ , ha proseguito, è invece meno conosciuta la tiepida accoglienza riservata alle Grandi ninfee, da lui dipinte tra il 1914 e il 1926. Questa svolta rientrava nell’immenso progetto delle Grandi decorazioni, ideato per le sale ovali dell’Orangerie delle Tuileries per celebrare la fine della prima guerra mondiale.
Molto materiale restò però nelle mani del maestro, che scelse, per far fronte alle inutili critiche, di nascondere agli occhi del mondo la sua incessante ricerca espressiva, che a partire dagli anni ’10 del ‘900 lo portava nella direzione di una dissoluzione completa del dato fisico. Nella serie delle ninfee, dei salici, degli splendidi glicini, la sezione più emozionante dell’esposizione romana, Monet riesce a dare vita a una pittura capace di distendersi come un tempo interiore, eterno, che si rispecchia nei riflessi baluginanti dello stagno di Giverny come il Parlamento nell’acqua del Tamigi, ruvida, a colpi di luce, come pietra pomice.
di Ansa