In che modo ha selezionato l’opera da esporre? Quale valore ha per lei e cosa desidera trasmettere agli spettatori attraverso la sua opera?
In realtà è stata la redazione della Dantebus a selezionare l’opera “Vinum animi speculum”. Ad aprile sono stata contattata dalla Casa editrice per esporre a Firenze un’opera con cui ho partecipato al concorso Bazart: “Ischia”. Dopo qualche giorno, ho chiesto un parere su alcune tele che avevo dipinto una quindicina di anni fa, tra cui questa che la Dantebus mi ha proposto di esporre in via Margutta. Ho accettato volentieri, ma sono rimasta molto sorpresa dalla scelta, perché la consideravo un’opera incompiuta. Quando l’ho realizzata, anni fa, frequentavo un corso di pittura. Doveva essere una semplice esercitazione, uno studio della figura umana in una posa particolarmente complicata da riprodurre; invece, si è subito trasformata in qualcosa di molto inquietante per me: dopo le prime pennellate, il volto della ragazza accovacciata sul divano ha assunto inspiegabilmente la mia fisionomia. Vista la posa alquanto imbarazzante, non volevo assolutamente che mi somigliasse e, per questo, le ho volutamente cancellato gli occhi. Nonostante questo accorgimento, ancora oggi, amici e parenti mi chiedono se sia un autoritratto. Io prontamente nego, ma a distanza di anni devo ammettere che per alcuni aspetti quella donna sono io, o almeno lo sono stata. In quel periodo della mia vita stavo attraversando un momento di grande solitudine e insoddisfazione. Sentivo dentro di me un senso di malinconia e rassegnazione. Quel quadro mi turbava perché lo trasmetteva chiaramente, diceva troppo di me, per questo non l’ho mai portato a termine. Era un autoritratto della mia anima. Qualche ritocco l’ho dato a distanza di anni, pochi giorni prima della mostra, per renderlo più presentabile, visto che in alcuni punti risultava danneggiato. Mio marito dice che non è bello, ma che suscita tensione. Probabilmente è questo che trasmette ai più, ma non è stato intenzionale. Oggi sorrido, quando penso alla storia di questo quadro. Rifiutato dall’autrice, è rimasto quindici anni in uno scantinato polveroso, per poi uscire dal suo vecchio imballaggio e andare direttamente in via Margutta a rivelare ad un pubblico ignoto ciò che io ho sempre voluto nascondere anche a me stessa: le emozioni di quel particolare momento della mia vita. È un quadro che vive di vita autonoma. Sono molto curiosa di vedere cos’altro sarà capace di fare.
Quali sono i suoi punti di riferimento artistici? Quali autori l’hanno più influenzata a livello stilistico e perché?
Amo dipingere figure femminili e cavalli, quindi prediligo gli autori che hanno ritratto questi soggetti. Mi affascinano molto i maestri rinascimentali, soprattutto Leonardo e Tiziano per la capacità magistrale di carpire l’anima e cogliere il mistero dei soggetti ritratti. Devo molto, per la formazione del mio gusto personale, in particolare ad artisti come Filippo Lippi, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Agnolo Bronzino, ma anche Goya, De Nittis, Hopper, Klimt, Gericault, Stubbs, Gonzaga. Attualmente il mio stile è influenzato da numerose suggestioni, prevalentemente di questi autori, ma è ancora in fase di definizione.
Come realizza i suoi dipinti? Ha già un’idea chiara e definitiva di cosa andrà a dipingere oppure costruisce l’opera in momenti e fasi differenti?
Ho un’idea, ma non un’idea chiara. Il momento della creazione di un’opera è un’esperienza davvero affascinante, magica direi. A volte penso di non essere io l’autrice delle mie opere, ma lo strumento nelle mani di una forza misteriosa che agisce attraverso me. Questo perché i risultati sono spesso sorprendenti, considerate le mie scarse conoscenze tecniche. Quando mi cimento in quest’arte, comprendo a pieno cosa intendevano gli antichi quando parlavano di ispirazione divina o cose simili. All’inizio sono molto istintiva, ma poi mi soffermo molto a guardare i miei dipinti, anche per ore. È un dialogo muto che si instaura tra me e le mie opere, in cui i dipinti stessi sembrano suggerire il tipo di intervento più opportuno per giungere al risultato finale. È un momento che richiede grande concentrazione e che mi porta via tanta energia fisica. Per questo preferisco dipingere solo nei periodi di ferie, quando non lavoro. Alcune volte riprendo dopo anni. Si tratta di un processo lungo ed estenuante. Essere un’autodidatta sicuramente mi penalizza sul piano della tecnica e dei tempi di realizzazione; tuttavia, mi gratifica molto dal punto di vista emotivo perché mi consente di scoprire con stupore e meraviglia ogni volta qualcosa di nuovo, seguendo liberamente la mia ispirazione più autentica. Mi piace lasciarmi guidare dalla mia mano
e… dalla mia musa.
Quali sono le tecniche che preferisce utilizzare e perché? Acrilico, olio, acquerello, tecnica mista…
Trovo la tecnica ad olio particolarmente seducente. Richiede estrema pazienza, ma poi basta una pennellata per risolvere un momento di impasse, per correggere, cambiare, ritoccare. Naturalmente richiede tempo, energia e tanta concentrazione. In genere uso solo i colori primari e il bianco di titanio. Prediligo nuances tenui. Non amo le tonalità accese. L’olio mi dà la possibilità di sperimentare una gamma molto ampia di sfumature diverse, per questo è una tecnica che amo particolarmente.
“L’arte è fatta per disturbare, la scienza per rassicurare” sosteneva Salvador Dalí. Può commentare questa citazione?
Al contrario, la scienza quasi mai rassicura, direi, e non necessariamente l’arte disturba. Il progresso scientifico ormai avanza così rapidamente che non facciamo in tempo a gioire per una nuova conquista che subito dobbiamo sperimentare le conseguenze e gli effetti collaterali, spesso negativi, della sua immediata applicazione. Mai come in questi tempi gli esseri umani hanno toccato con mano i limiti della ragione. Oggi sappiamo che, per motivi meramente economici, spesso le nuove scoperte scientifiche vengono immesse sul mercato senza seguire il necessario collaudo o un corretto iter di sperimentazione. Tutto ciò è molto inquietante e davvero poco rassicurante. Quanto all’arte, a volte disturba, è vero, più spesso genera turbamenti (non necessariamente negativi), raramente ci lascia indifferenti. In tutti i casi, un’opera d’arte ci ricorda che siamo ancora esseri umani capaci di emozionarci e non semplici rotelle di un ingranaggio per produrre denaro, come ci impone la società odierna. Alcune opere d’arte hanno poi il potere di rasserenare gli animi e nell’era dello stress e dell’ansia non è cosa da poco. Voi lo dite spesso,
citando Dostoevskij: “La Bellezza salverà il mondo”. Di questo, io ne sono profondamente convinta.