GIANNI ROSSO

L’AMORE È UNA PAROLA DI LUCE, SCRITTA DA UNA MANO DI LUCE, SU UNA PAGINA DI LUCE

«Il vero amore è come una finestra illuminata in una notte buia. Il vero amore è una quiete accesa» (Giuseppe Ungaretti). Il poeta è colui che nei momenti bui dell’esistenza e della vita umana, scorge il bagliore “oltre” la collina, sa che al di là c’è la luce che rischiara la notte. Gianni Rosso, dunque, fonda la sua arte su tale “visione” profetica, assumendosi l’importante compito di elargire e spargere la speranza nell’oscurità: «Ti ho domato/infinito deserto,/di te non resta/che qualche granello/nelle scarpe/che ho gettato,/esauste di passi/e ritorni/su strade smarrite,/ti avvolga l’ultimo/sguardo nel disprezzo,/ignorandoti proseguo/incontro al mio/arcobaleno…» (“Luci”). Il poeta-guida crea versi, ricolmi di echi ungarettiani (anche nei titoli), per mostrare la luce del faro nella tempesta, per indicare all’umanità che le sfumature colorate all’orizzonte preannunciano l’alba di un nuovo inizio e non il tramonto della fine. Lo stile si fa aulico, melodioso, i versi passano dal rarefatto al settenario e all’ottonario, per accompagnare come musica il nuovo giorno, per cominciare la rinascita: «Sei nell’alba leggera/dolce risveglio,/una rosa che danza/su tasti d’avorio/ai giorni regali melodie,/una favola antica/negli occhi di un bambino…» (“Risvegli”). Il poeta, come un pittore, inizialmente dipinge e rende visibile l’invisibile: i sogni, le emozioni, i ricordi… che piano piano diventano sempre più nitidi e, come preannunciato, svaniscono alle prime luci che rianimano il cuore, perché assieme all’odore del caffè, esse illuminano il volto dell’Amore che ritorna. «Nel primo chiarore del giorno,/nel profumo del caffè che sale,/nel sorriso da scemo/mentre ti vedo arrivare,/nello scatto che apre il portone,/nel bacio che ti mando da lontano,/nel viaggio che porta al mare,/in tutti i posti dove vorrei stare…/…sei…» (“Sei”). Saperlo cogliere (l’Amore) in tutte le stagioni, dell’anno e della vita, è il segreto per poter “risorgere” ogni giorno, come la Fenice. Per vivere “veramente” l’uomo ha bisogno di un cuore che pulsi di passione: «Sei autunno,/di vento e di colori,/incanto di sapori./Sei inverno,/coperte e fiamma,/penombra e brivido./Sei primavera,/germoglio e luce,/brezza leggera./Sei estate,/allegria e canto,/musica e sudore./Sei ogni stagione,/ove io rinasco,/vivo di passione» (“Stagioni”). Esso (l’Amore) è la meta a cui deve tendere l’umanità, il centro del cerchio dove si uniscono i raggi. Il poeta è colui che ne canta la SPES, perché pur se diverse, variegate, impervie, ricche di imprevisti e di bivi, tortuose, lunghe o brevi: tutte le strade portano ad AMOR. «Le nostre vite diverse/portate in giro a fatica,/le nostre strade diverse/svelate passo passo/a piedi nudi,/i nostri pensieri diversi/scrivono ignari/la stessa canzone,/vite diverse/strade diverse/pensieri diversi/troveranno albergo/nel nostro unico cuore…» (“Magiche traiettorie”). I lettori che si avvicinano a questi versi, allora, udiranno la melodia di un poeta che regala il tempo dell’eternità: «Buona vita/al mio tempo,/al tempo che mi ha offerto/la pazienza/cui ho regalato/una nuova ciocca bianca,/buona vita/al mio tempo maltrattato/e buona vita a Te/che appena in tempo/lo hai fermato…» (“Cadeau”); di un poeta che vede “l’oltre”, dove PAX ed AMOR saranno per sempre nella mente, nel cuore e nell’anima: «È qui che vorrei stare,/da qui si vede il mare,/il sole sorgere e tramontare,/da qui è tutto cielo/sopra le stelle/tessute come un velo./È qui che vorrei stare,/sul balcone ascoltare/la pioggia cadere,/abbracciato ai tuoi occhi/a guardar le stagioni passare» (“Oltre”). La parola poetica è una lampada che Gianni, come primo della fila, sorregge per illuminare ed indicare la via: «L’amore è una parola di luce, scritta da una mano di luce, su una pagina di luce» (Khalil Gibran).

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