GIORGIO ZORZI

LA POESIA ARCOBALENO CHE UNISCE TERRA E CIELO

«Su di un aquilone/afferro tutta la luce del giorno/e i passi della sera…» (“POESIE”). Questi versi delle POESIE di Giorgio Zorzi ne introducono l’arte. Il poeta è colui che si pone tra terra e cielo. Giorgio è un ponte fra le rive del mondo fisico reale ed il mondo spirituale. In mezzo scorre il fiume delle emozioni, dei sentimenti, del vivere. La poesia è il trait d’union che unisce i due mondi e lo scorrere fra essi. L’insieme costituisce quella “bellezza” sfuggente e sfuggevole, che Giorgio fissa e sublima nella sua opera, come un’istantanea, pur consapevole che «Il colore di Dio/non ha parole» (“POESIE”). L’ars di Giorgio è simile all’arcobaleno: ricolma di ogni colore, simbolo di pace dopo la tempesta e soprattutto via di unione e comunicazione tra Dio e l’uomo: «Ti trovo di fronte all’arcobaleno/nella quiete dei petali/che conoscono i tuoi occhi…/Mi trovo nell’ora del silenzio/trafitto dal tuo candore/estinto mentre afferro la luce» (“Vivo”). La magia dell’arte consiste proprio nel cogliere quell’attimo meraviglioso, prima che svanisca. Il poeta è un novello Icaro, che con le sue ali si lancia verso il Sole: «Mosso da piccole ali di cartapesta/trascorro un istante sull’archetto/proprio quando una nota/scivola sopra un’altra» (“POESIE”). L’attimo prima di cadere, del tramontare del sole, dell’evaporare di un’ emozione, quando ancora l’occhio resiste a guardare la luce senza accecarsi: «Nel momento stesso/Luce volge ad accecare il lucernario/e un momento ne sfinisce bellezza» (“Il tempo”). Giorgio riversa sul tutto l’incanto della poesia, che nuovamente e definitivamente sospinge poeta e lettori verso l’alto, verso l’Infinito: «Vola solo chi osa farlo» (Luis Sepulveda). Ecco che, allora, Giorgio incontra in volo i grandi maestri della poesia. I suoi versi programmatici: «La mia penna/è il cielo/che si fa terso…/Dove una rosa/si appoggia/all’ultima nube» (“Di notte”), richiamano il premio nobel Wisława Szymborska: «Da qui si doveva cominciare: il cielo./Finestra senza davanzale,/telaio, vetri./Un’apertura e nulla più,/ma spalancata./Non devo attendere una notte serena,/né alzare la testa,/per osservare il cielo…/La divisione in cielo e terra/non è il modo appropriato/di pensare a questa totalità….» (“Il cielo” W. Szymborska). Il poeta è colui che insegue e raccoglie ogni petalo del fiore, sparso nell’aria e lo fa rinascere e sbocciare nei versi: «Un incanto/di luce increata/traccia il sentiero/del mio respiro…/Mi sono accovacciato/senza vergogna/dopo la danza/non sapendo/di abitare ogni petalo/che vola verso te» (“Petali”). Il poeta è colui che prende per mano ogni goccia di pioggia e la tramuta in carezza, fondendosi con essa: «Splendo accanto a una goccia di pioggia/Sono quella goccia…/e Sono le carezze che invocano carezze» (“Ciò che sono”). Il lettore che si avvicina a questi versi, sarà inizialmente trasportato in volo da Giorgio, come un aquilone, inoltrandosi sul percorso verso l’altra sponda, come su di un ponte: «Dove sento il silenzio/è il rifugio più bello/è il mare incastonato nell’oblio/a pochi passi della bellezza…/a un passo dalla verità…» (“A N.”). Il passaggio all’altra riva permetterà di “vedere e sentire” come un uccello, come un Icaro con vere ali:
«Un poeta è un uomo che mette una scala su una stella e vi sale mentre suona un violino» (Edmond de Goncourt).
UNA POESIA ARCOBALENO CHE UNISCE TERRA E CIELO.

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