MARCO LANDO

LA POESIA CON DELICATEZZA ADDOMESTICA IL TEMPO, GOVERNANDO I CONFINI TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO

L’opera di Marco Lando è un’ars poetica in stile “elegiaco”, caratterizzata dalla delicatezza dei versi e delle immagini, sfumata gentilmente in toni autobiografici. È l’IO LIRICO, dunque, a cantare: ricordi, emozioni, vita vissuta e vivente. Marco dà un’importanza straordinaria al tempo, che gioca un ruolo fondamentale! La sfida del poeta è quella di addomesticarlo e non farsi sovrastare da esso. Marco può essere in grado di governare passato, presente e futuro grazie alla poesia. L’artista può acquisire il potere di ricordare, rivivere e rendere eterno. C’è , tuttavia, un sottile equilibrio da mantenere sulla linea di confine. Come se un uomo salisse in groppa a un puledro selvaggio, mai domato. “Chi guiderà chi?” L’approccio del poeta è pacato, la scelta è di condurre la cavalcata con dolcezza. A questa tematica, sono dedicati diversi componimenti. La poesia inizia a prendere possesso del tempo. I versi assumono il linguaggio “temporale” del proprio LOCUS. L’ora sultanina, il pane, l’ambiente del Basso Trentino agricolo: “L’orologio svizzero, tonico, colorato,/raffermo come il pane e un poco bleso,/s’occupò a cambiare l’ora solare,/l’ora legale e l’ora sultanina,/colorandosi come la linea dell’orizzonte./Con la macchina del tempo, svanì” (“L’OROLOGIO SVIZZERO”). Il poeta compie l’impresa, comprendendo il segreto e la trama del tempo, riesce a domarlo: “Riuscii, tra le foglie, a disperderle,/per capire i disegni nell’aria/degli scoiattoli innamorati…/Poi, venne la neve,/le volpi d’argento e la fine del tempo./La città gioì: quell’estate, ripararono/l’orologio, la torre civica, il futuro presepe./Tutto ebbe un silenzio:/recitando, compresi la trama del tempo” (“LA VALLE DEI BOSCHI”). Se i versi comandano le lancette, allora, l’anima di un cervo braccato può essere fermata e sublimata eternamente in un pegaso alato: “Un cervo impazzito, danza nel ruscello/ebbro di zampilli e freschezza,/rapido invecchia e perde l’anima./Un bracconiere, trasformato in saetta,/colpisce. Il cervo staccandosi dal rio,/si salva nei nitriti di Pegaso./Ma in questa sua illusione troverà il sole” (“IL TEMPO”). In quale epoca siamo nelle poesie di Marco? Come attraverso una macchina del tempo, con lo stile di Ovidio, tornano la nonna, la mamma, i familiari. L’uomo è il fanciullo e il fanciullo è l’uomo. Era, è e sarà nel UNICUM CONTINUUM della poesia. Una magica connessione e uno splendido connubio tra memoria, realtà, sogni, fantasia e intimità: “Si mosse il pendolo, e un tocco compì/tutto l’arco del giorno e della notte./La torre, ebbe il quadrante,/cadde la luce ed il tramonto./Un sogno strano, quasi esistente/si aprì all’alba, il sole si mise accanto,/l’eclissi era appena cominciata,/ciascuno brancolava nel buio./A notte, mia nonna, fece la nonna/e mi cullò, perché avevo sognato,/e la casa, in penombra era vera/come i rumori della via sottostante/lieti e famigliari sotto la torre civica” (“L’ERRORE DEL TEMPO”). Cuore di questo viaggio è la mamma del poeta, in fondo Marco varca i confini, spezza i lacci che lo incatenano al presente, per Lei: “Ti seguii, gli ultimi tuoi anni:/mite come una primula/fiorivi al tuo tempo d’oltre vento…/Ti amavo./E ti amo./Non so dove abiti, ora,/ma ti scrivo,/ti sento, aiutami a parlarti,/perché ci sei” (“MADRE”). In questo UNICUM, è fondamentale anche un altro elemento, carissimo al cuore del poeta: la sua TERRA! Cambiata e ferita dall’uomo. Simbolo di essa è l’Adige. Il fiume che nasce dalle montagne, scorre in luoghi di aria purissima e valli verdeggianti, si ingrossa dei suoi fratelli che provengono dagli altri monti, fino a incrociarsi con l’autostrada del Brennero, quasi a sfiorarsi e confondersi con essa, per poi confluire nell’immensità del mare. Come l’asfalto porta le auto, così l’acqua porta ciascuno nelle vie della vita, con tutto il proprio essere: “Fiume, mio, vai ovunque/ti porti con ciascuno,/sei l’aria dei luoghi/che scorri e attraversi…/Porti al mare…/segui i monti, e ti corro,/m’appoggio alla guida,/chiedo a te aiuto/per conoscere il mondo/per portarmi tra la gente./Addensi veicoli, o pioggia,/o nebbia e vento e burrasca./Sai di stress, di vita, di merci/di bolidi rossi e belli,/sai di ciascuno di noi/sempre in viaggio, sempre lontani,/ma che sempre sappiamo tornare” (“AUTOSTRADA”). Il poeta si lascia istintivamente cullare da questo fluire. Il viaggio lo porterà alla Conoscenza, allo Spirituale, all’Eterno. Il fiume sfocerà nell’Oceano di Cristo, sarà il tempo di trovare la PAX. Ma non sarà solo un andare, sarà un ritornare, l’ora di rivedere finalmente il PATER: “Conoscere, custodi d’Iddio,/amare donna,/attraverso le cose/vivere la realtà/e farla coi sensi, e con Iddio./Ma poi s’aprì una via/ed è l’uomo e la donna,/la fatica,e su questo, amare, dolere,/chiamare Nostro Signore,/sino a trovare vie di terra,/poi, l’Oceano del Cristo./E andare, profondi, alla pace,/ritrovando con corpo e anima, il Padre” (“ANDARE”). Il percorso poetico non è tuttavia finito! L’artista vive nel presente. Nella sua opera come un aedo canta di: “Una fiaba, scritta in un libro/il bambino, non la lesse…/Un giorno, addormentandosi/in una notte chiara di stelle,/trovò quello scritto in cielo,/erano suo padre e sua madre/che lo chiamavano per nome” (“IL BAMBINO E IL LIBRO”). Parole che sprizzano da tutti i pori richiami a Virgilio e allora la lettura può essere chiusa degnamente solo dai versi delle Bucoliche, che annunciano e presagiscono l’arrivo di un’epoca meravigliosa: “Muse siciliane, cantiamo argomenti un po’ più elevati:/non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici;/se cantiamo le selve, le selve siano degne di un console./È giunta ormai l’ultima età del carme cumano,/nasce da capo un grande ciclo di secoli;/già torna la Vergine e ritornano i regni di Saturno,/già una nuova progenie viene mandata dall’alto del cielo…/e in tutto il mondo nascerà quella generazione dell’oro:già regna il tuo Apollo…/la terra, senza essere coltivata, effonderà per te, o fanciullo,/quali primi piccoli doni,/edere erranti qua e là col baccare/e la colocasia mista al ridente acanto./Le caprette da sole riporteranno a casa le mammelle gonfie di latte/e gli armenti non temeranno i grandi leoni./La culla stessa effonderà per te deliziosi fiori./Morirà anche il serpente e la ingannevole erba del veleno…/Ma non appena potrai leggere le lodi degli eroi e le imprese del padre/e potrai conoscere che cosa sia la virtù,/a poco a poco la pianura biondeggerà di flessuose spighe,/dai rovi selvatici penderà la rosseggiante uva/e le dure querce trasuderanno rugiadosi mieli…/La terra non patirà i rastrelli, la vigna non patirà la falce,/anche il robusto aratore toglierà ormai il giogo ai tori;/e la lana non imparerà a fingere i vari colori,/ma da solo sui prati l’ariete cambierà il colore del vello/ora con la porpora che rosseggia soave ora con il giallo zafferano…/Incomincia, piccolo bambino, a riconoscere la madre dal sorriso” (Virgilio, BUCOLICA IV). Marco Lando è un artista che ha saputo domare il tempo con la delicatezza della poesia. Un poeta che sa ora varcare i confini tra passato, presente e futuro. La sua famiglia e la sua terra saranno sempre con lui e con il lettore, fluendo tutti insieme verso l’Oceano di Pace, in attesa di una nuova ETÀ DELL’ORO.

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