GIOVANNI BORLIZZI

UN MAESTRO POLIEDRICO IN CONTINUA RICERCA DI BELLEZZA ED ETERNITÀ

L’opera dell’artista Giovanni Borlizzi si presenta come un’ars poliedrica di alto livello. L’incredibile varietà comprende sia le tecniche usate, sia i soggetti rappresentati, sia il richiamo alla tradizione. LE TECNICHE. Anzitutto l’autore, che per questa sua abilità merita il titolo di “maestro”, padroneggia con grande esperienza svariate tecniche rappresentative: l’olio su tela, la matita, la china, l’acrilico, l’acquerello, la tempera, il mosaico, la pirografia, la ceramica, il patchwork e tecniche sperimentali su stoffa e con oggetti di uso quotidiano. I SOGGETTI. Il Salento, il Napoletano, Matera, antichi mestieri, paesi, campagne, monumenti, volti, temi sacri, il mare. Giovanni attinge dalla realtà e dalla memoria storica, con il suo “particolare” occhio artistico che gli permette di deprivare l’ambiente degli elementi moderni e riesce a fissarlo e bloccarlo nel tempo, sublimandolo e rendendolo eterno. LA TRADIZIONE. L’artista ha una sua timbrica e la sua mano si riconosce indipendentemente dalla tecnica usata, tuttavia evidentemente strizza l’occhio a diverse tradizioni come quella dei Macchiaioli, dei Realisti e Veristi, degli Impressionisti e dell’arte Naif. Uno degli elementi fondamentali, che risiedono alla base dell’opera, può essere definito in prima battuta come “IL SILENZIO DEL PAESAGGIO E DEI LUOGHI”. L’idea è evidentemente raggiunta, dopo un lungo percorso spirituale e di contemplazione. Il tempo del paesaggio e del luogo non è quello dell’uomo. Che sia un monumento, un paese o un paesaggio, il tempo della rappresentazione, che segue la contemplazione, è un tempo di silenzio, al contrario del tempo dell’uomo che è fatto di rumore. Giovanni deprivando ciò che vede dal rumore e dalla modernità, forma lui stesso una via di contemplazione, una strada per raggiungere la Verità, l’Essenza. Come un eremita l’autore crea questa condizione di silenzio, al quale non siamo abituati. Così l’osservatore può ascoltare la voce della Storia, che induce alla meditazione: “Quanti uomini sono passati per quel borgo? Quanti hanno solcato quel mare? Quanti hanno lavorato in quella campagna? Quanti hanno visitato e vissuto quel monumento?”. Le opere di Giovanni sono intrise, insomma, di un SILENZIO CONTEMPLATIVO e MEDITATIVO: “Non c’è niente come tornare in un luogo che non è cambiato, per rendersi conto di quanto sei cambiato” (Nelson Mandela). È importante sottolineare che non si tratta, però, di una “ambiente statico”, ciò che viene rappresentato è vivo! Giovanni fa sua l’idea classica, secondo la quale sia lo stesso “luogo” ad avere un’anima e a pulsare: il GENIUS LOCI: “I luoghi hanno un’anima. Il nostro compito è di scoprirla. Esattamente come accade per la persona umana” (J. Hillman,”L’Anima dei luoghi”). Questo è l’elemento che in seconda battuta caratterizza l’ars di Giovanni. Ciò si coglie sia in un soggetto suggestivo come “La Fontana del Grifone” dell’antica città romana di Sepino, dove lo stesso “Grifo” è immediatamente identificabile come il GENIUS LOCI, sia nelle rappresentazioni dei paesaggi e dei monumenti. Due menzioni particolari, a riguardo. Nell’opera “MATERA”, acrilico su carta speciale, la finezza stilistica del colore in rilievo dona una vivacità così forte al “rappresentato”, tanto da sembrare in movimento come una persona umana. In “MARECHIARO, NAPOLI”, l’osservatore attende l’imminente arrivo del pescatore, che scenda dalla piccola scalinata, rustica in pietra, per salire sulla barca: “Quando lasci un bel posto, lo porti con te ovunque tu vada” (Alexandra Stoddard). C’è infine un terzo elemento che caratterizza quest’arte. Lo si può capire solo dopo aver compreso i precedenti: la NATURALEZZA. Il maestro Giovanni la raggiunge al termine di un lungo cammino. Egli riesce nell’impresa di eliminare il confine con l’artificiale, rendendo così il soggetto rappresentato universalmente naturale! Possiamo vedere ciò in “PESAGGIO CON PAJARA ED ULIVI”. Non c’è più differenza tra alberi, terra e costruzione umana. Il creato Divino si fonde col creato umano, perché fu fatto “A immagine e somiglianza divina” e ” di poco inferiore agli angeli”. Ed è bellissimo e sublime vedere e pensare che sono il colore di Giovanni e le sue mani ad unire questi mondi: divino ed umano, artificiale e naturale, finito e infinito. Leggermente a parte le chine miste a matita che rappresentano vecchi mestieri come l’aratura. Il tocco di Giovanni riesce contemporaneamente a farli riapparire in una sorta di macchina del tempo e a farli sparire nuovamente, in uno sfumato che rappresenta appunto ciò che fu. Lo stesso “rilievo” colto in MATERA si fa carne, dà corpo proprio al Cristo nelle opere tridimensionali in terracotta. L’osservatore, che si avvicinerà all’ars di Giovanni, capirà subito di aver a che fare con un’abilità fuori dal comune di un maestro sapiente. L’arte di racchiudere nel paesaggio, nel rappresentato, il “tutto”. Tutte le verità che le società umane sanno iscrivere in esso e raccontare, tutte le tracce che la storia ha impresso: “Un luogo non è mai solo ‘quel’ luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati” (Antonio Tabucchi). L’ars di guardare, cogliere, meditare e rappresentare, proprio per rendere possibile e fruibile all’osservatore/lettore la contemplazione. Giovanni Borlizzi, un maestro in continua ricerca di Bellezza ed Eternità: “Non finiremo mai di cercare. E la fine della nostra ricerca sarà l’arrivare al punto da cui siamo partiti e il conoscere quel luogo per la prima volta” (Thomas Stearn Eliot).

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