CARLO SANTAGOSTINO

IL POETA NOCCHIERO GUIDA LA NAVICELLA LUNGO IL FIUME DELLA VITA E DELLA POESIA

Per introdurre l’opera poetica dell’autore Carlo Santagostino, il modo migliore è leggere la sua poesia programmatica “TICINO”. Il componimento ci mostra una splendida immagine che è il simbolo dell’ars di Carlo. I suoi versi disegnano un paesaggio idilliaco, che si estende dai monti fino al mare e che ha come “trait d’union” il fiume: “Il fiume accarezza la città/scorre le sue anse sinuose/tra boschi di foglie prosperose,/t’abbraccia come a stringerti forte/a non voler lasciarti andare lontano/e ti fa intravedere/laggiù, laggiù in fondo al piano/lungo la linea dell’orizzonte/la cima nevosa del monte./Nella spiaggia soffice e sabbiosa/s’è consumata molta parte della mia gioia amorosa./Ho amato,fanciullo innamorato./Nelle sue acque limpide e fresche/il mio giovane corpo mi sono bagnato./E il fiume ancora va/scivola ancora via,/quante acque sotto il ponte della ferrovia” (“TICINO”). Il fiume è il simbolo della poesia e di un lungo e importante percorso umano e artistico, che abbraccia idealmente ogni età della vita. Una poesia per tutti, dal fanciullo all’adulto. La mappa dell’opera è tracciata. Dalla sorgente alla foce. Dalla montagna alla spiaggia. L’acqua scorre sotto i ponti. L’uomo/poeta può scorgere dal fiume/poesia l’inizio, il centro e la fine del percorso. Grazie al fluire del corso d’acqua/poesia, Carlo può spaziare in ogni attimo vissuto e riportarlo in vita sia nella memoria, aprendone lo scrigno, sia nei versi, intingendo la piuma d’oca nel calamaio: “Non ci si bagna due volte nello stesso fiume”. La bellezza e la perfezione di questo simbolo sta nel fatto che il fiume porta già all’interno la potenzialità e la storia del tutto. Dunque il lettore può imbarcarsi sulla navicella, che ha come nocchiero il poeta, e lasciarsi guidare attraverso la sua poesia. È un incedere dolce e leggero, come in barca a vela o in gondola. L’Amore è contemporaneamente la forza che sospinge l’imbarcazione (come in “TICINO”) e l’unico bagaglio da portare: “L’uomo percorse la sua strada/bagnato dal sudore della vita,/segnato dagli inciampi del destino/non rallentò mai il suo cammino/dallo scuro risveglio del mattino/sino al tramonto della sera./Scivolato, rialzato,ricaduto,/riprese la sua via/senza sentirsi mai perduto./No,ora no, davvero non poteva/abbandonare il suo sentiero,/lasciare a terra tutto l’amore che aveva” (“UN UOMO”). Quante emozioni sin dalla fanciullezza, dal principio della vetta, dalla sorgente! Allora, in una nuova armoniosa immagine del cammino, rappresentato stavolta come “Il ciclo delle stagioni”, Esso (l’Amore) è la Primavera: “Talvolta mi manchi,/mi manchi come la primavera,/mi manchi come il tepore della sera,/come il profumo dei ciliegi in fiore,/mi manchi perché sei il mio amore./Talvolta mi manchi,/mi manchi come la fragranza/delle viole e delle rose,/come l’essenza delle mimose…/come mi manca l’arrivo della primavera/con la sua brezza dolce e sincera./Mi manchi perché come la primavera/tu hai segnato il ritorno/di una nuova vita vera” (“PRIMAVERA”). Il nocchiero puntella alcune tappe fondamentali del viaggio. Anzitutto Il liceo Cairoli! Lo sguardo di Carlo lo vede senza confini temporali, in un “unicum” di passato, presente e futuro: “Certamente invecchiato/ho inesorabilmente lasciato/il mio futuro alle spalle./Come una ferita/si taglia in due la vita./Albero antico/spezzato dalle vicende del tempo…/Gioie e risate,/mai dimenticate,/fanciullo spensierato/di un vecchio liceo,/così severo/da non poter mai/essere scordato./Ho conquistato e racchiuso nello scrigno dell’anima mia/la memoria dei miei compagni del passato,/di un amore profumato/dal sapore della gioventù…/Ed ora veramente,/ogni cosa è rimasta ferma/in questa mia mente/di uomo strano,/divenuto anziano…/che non è capace assolutamente,/affacciato alla finestra,/di rassegnarsi a non vedere il domani” (“LICEO CAIROLI”). La dolcissima e saggia nonna del mondo delle risaie: “Uomo di terra e risaie/ho camminato con te /nelle mattinate lomelline/roride dell’afa bagnata/dell’umido nostro./Ti stavo vicino ,vicino/e tu mi tenevi la mano./Mi facevi imparare/l’arte di catturare/ le rane./Poi, sdraiato nel letto,/nella controra di luglio,/mi portavi nei fantastici mondi/di Verne e Salgari e,/inforcati gli occhiali,/che ti cadevano sul naso,/me ne leggevi i racconti e le storie./Mi hai davvero amato,/profondamente stimato,/perché già avevi capito/che mai avrei potuto deluderti/e che sarei sempre restato/quell’uomo di terra e risaie/cui avevi insegnato/la fatica del lavoro dei campi…/Canuta vecchietta,/dagli occhi celesti…/anche io ti ho amata” (“MIA NONNA”). Lo stesso “tempo” può essere personificato. Il “Novecento” è come un vecchio compagno di scuola che se ne è andato via per sempre: “Solo ora mi accorgo/che si sta davvero sciogliendo/il secolo novecento/Poco a poco, lentamente,/va scomparendo tutta la sua gente/Se ne vanno tutti i suoi protagonisti…/È stato il mio tempo,/il tempo della mia gioventù,/il tempo della mia vita/ed ora lo osservo scomparire/lentamente senza che/possa farci niente,/con lo stesso straziante dolore/dell’abbandono di un grande amore/che mi ha lasciato/solo e desolato/e che se ne va per la sua strada/verso un nuovo destino./Resto così ad aspettare che arrivi/quello strano mattino/in cui dovrò unirmi al vostro cammino,/coriandolo anch’io sperduto nell’aria,/lasciando che, in un solo momento,/se ne vada via con me/anche questo mio novecento” (“NOVECENTO”). Il poeta saggio, sa che: “Presto verrà il giorno/in cui potrò volare/in cima ai monti/e sopra il mare” (“VERRÀ LA MORTE E AVRÀ I TUOI OCCHI”). Poiché la poesia/vita/fiume scorre naturalmente verso la foce, Carlo da uomo vero profondo, umano e spirituale traccia un bilancio del viaggio. Lo fa meravigliosamente in versi, arricchendolo di linguaggio e visioni omeriche nella poesia “ODISSEO”, regalandoci più che un componimento, uno splendido TESTAMENTO SPIRITUALE: “Ho percorso ogni impervio sentiero/per capire le vette più alte dell’umano pensiero/verso ciò che è più vero./Ho accarezzato queste tue meravigliose colline/cercando di trovarvi un cuore/accanto a un solitario dolore./Ho inseguito Odisseo /lungo i mari del sud/attraversando più volte l’Egeo/per rivedere anch’io, al fin della via,/la Penelope mia…/Ho lottato/per quanto ho potuto,/violando l’inerzia/della mia indole pigra/per vedere spuntare/laggiù, lungo la linea dell’orizzonte,/la luce splendente/di un nuovo sole sorgente, /ma ho ancora impervie montagne/che devo scalare/e tanti polverosi sentieri/da camminare/dentro quegli occhi sinceri/che non mi possono amare/per il triste gioco/di un destino beffardo./Ma Itaca è ancora lontana,/piccola spiaggia serena,/roccia sporgente laggiù,/oltre le onde del mare,/tra la luna e le stelle del cielo/che le fanno da velo./Essa attende/paziente/che arrivi/portando sulle mie spalle/tutto il peso delle tante sconfitte e delusioni/ma anche delle emozioni/che m’han fatto piangere e ridere,/desiderare e soffrire,/Caro Odisseo/compagno di questo percorso,/ecco già ho potuto vedere la luce del faro/là, in fondo, che illumina il mare/ma tu,ti prego, non lasciarmi andare/aiutami un poco a restare/perché ancora non si è placata/questa mia voglia di lottare/e bramosia d’ amare!” (“ODISSEO”). Il lettore, che avvicinandosi all’opera, è salito idealmente sulla nave e ha percorso il viaggio col poeta, si può ora preparare allo sbarco. Carlo mostra quell’Amore, che da motore e bagaglio è divenuto “meta”, nobilitandosi nel traguardo dell’Eternità! “Fermati qui, /stammi vicino,/lascia che l’onda continui a bagnarci…/Accarezzami lieve la pelle/che il mare/ha spalmato di sale./Non lasciarmi la mano,/accompagnami tu, piano, piano/con la dolcezza il cui sapore conosci,/oltre il traguardo,/Facciamo che questa notte/di stelle cadenti,/che questo magico istante/eterno diventi,/per sempre,/momento perfetto che sospende il respiro/ed assapora una virgola di felicità” (” IL MARE D’AGOSTO”).

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