ALESSANDRA MARINACCI

LO SGUARDO DELLA POETESSA SUL MONDO: OSSERVAZIONE, AZIONE, CONTEMPLAZIONE…E ALLA FINE LE GINESTRE

L’arte in versi e prosa dell’autrice Alessandra Marinacci si basa sullo SGUARDO POETICO. Esso compone le fasi fondamentali dell’opera: osservazione, azione, contemplazione. Dapprima l’occhio vede ed esamina la realtà, in seconda battuta esso trova una soluzione, traccia e in un certo senso restaura le vie per Bellezza e per l’Amore che portano, poi, alla fase finale: la contemplazione. OSSERVAZIONE. La prima constatazione della visione della poetessa è desolante, lapidaria, terribile: nel mondo attuale non c’è spazio per la poesia, per la letteratura, per i sentimenti. I ragazzi di oggi, che potrebbero essere i novelli “Giulietta” e “Romeo”, non solo discutono solo di cellulari, peggio! Si fanno guidare da essi e dalla rete. Per trovare un posto romantico ricorrono a un applicazione. La spontaneità dov’è? La vivacità, l’ardore, la fiamma dei giovani si è spenta? “Oggi sono delusa, lo ammetto; verso il tardo pomeriggio/sono arrivati dei ragazzi e volevo sentir parlar d’amore./L’unica conversazione riguardava una nuova applicazione/per scoprire…posti romantici./Avrei voluto dire, ma non è nelle mie di applicazioni,/GUARDATE CHE SIETE già nel posto giusto!/Pensate che Shakespeare avesse davvero bisogno del balcone/per la sua Giulietta?” (“RACCONTO DI UNA PANCHINA”). Sembra di sentire il grido di Vasco Rossi al mondo, profetico di diversi anni prima: “E la voglia, la voglia di ridere/quella voglia che/c’era allora/chissà dov’è? Chissà dov’è!/Cosa diventò, cosa diventò/quella voglia che non c’è più/cosa diventò, cosa diventò/che cos’è che ora non c’è più/cosa diventò, cosa diventò/quella voglia che avevi in più/cosa diventò, cosa diventò/e come mai non ricordi più” (“Liberi Liberi”, Vasco Rossi). Allo stesso modo anche per un “novello” Leopardi le porte sarebbero chiuse. La siepe non è più amata, forse verrebbe abbattuta, il “Naufragar m’è dolce in questo mare” non è attività contemplata in questa società. Solo foto e selfie al suo posto: “E quella siepe…/Quella siepe che Ti chiudeva l’umano/tanto umano orizzonte, Giacomo/più non la si ama./Precludeva amorosa il veder con i sensi./per far ascoltare immagini di Infinito./L’alterigia del pigiar bottoni,/la mia stessa fretta di questo secolo,/luminoso di led a ogni ora,/fa sentire avverso quel divieto/di veder subito e senza posa./Staremmo ora invano/a sorbir come nettare il piccolo spazio/mentre, Tu, ricamavi pensieri alla Tua Donna./Noi la facciamo diventare roveto,/o un muro cui appoggiarsi per scattare/foto su foto da postare” (“E QUELLA SIEPE”). La fine della Divina Commedia di Dante muta: non più “Uscimmo a riveder le stelle” ma “Tra i grattacieli uscimmo” (“TRA I GRATTACIELI USCIMMO”). AZIONE. L’autrice non può mutare da sola le cose, per farlo c’è bisogno che cambino le persone. Ci vogliono uomini e donne che sappiano di nuovo “guardare”, togliere le bende mondane dagli occhi. E allora Alessandra intesse trame, percorsi che possano portare alla Verità. La chiave, però, è raggiungibile solo da chi saprà aprire mente e il cuore. In un certo senso il percorso che traccia l’autrice, in questa fase, è già una strada per purificarsi. Per tornare a sedersi e contemplare l’Infinito dalla siepe dell’ERMO COLLE. Nelle parole c’è nascosta la Verità. “IL TUNNEL DI ANNALOU” mostra due possibili esiti, come del film SLIDING DOORS. Uno porta alla distruzione, l’altro alla salvezza, Ma tra la vita e il nulla, alla fine rimane la protagonista che sceglie di diventare una pittrice, nascendo a vita nuova proprio grazie alla bellezza, che la salverà dalla morte: “Di nuovo il tunnel ma c’è solo lei, Annalou, con dei quadri in auto e la macchina che fuma/e il cell che non prende./La Porsche non c’è perché lei ha mantenuto la promessa a suo papà; ha deciso di essere/felice e lo studio l’ha portato avanti suo fratello che ora le passerà qualcosa per la trappola…” (“IL TUNNEL DI ANNALOU”). Alessandra come Pollicino lascia una briciola di pane sulla strada, di modo che il lettore, dal cuore puro e illuminato dai sentimenti, sappia cogliere. Un indizio, una luce che illumina la notte, un po’ di dolce neve sul ramo, che come i segni biancorossi del sentiero corretto in montagna, indicano la giusta via da seguire: “Sopra i rami ora neve/a segnare la via./La rondine ancor non può/pensare alla casa del poggio./Sotto la tegola sarà il suo/nido d’amore, intrecciato./Tu segui il freddo percorso,/affinché il cuore non sia celato/nel momento del fiorire” (“NEVE SUI RAMI”). Nell’opera “IL RITORNO A CASA”, capitolo di un libro inedito, appena accennato, il sottile ma profondo richiamo ad Asimov e al suo “TRUE BLUE” è eccezionale: “- Lo sai,vero, che io e i “Ragazzi” resteremo a coltivare il sogno di pensarci Umani?/- Asimov scrisse di uno come Voi, Amico mio. Una delle storie d’amore più belle di ogni tempo./- Qui è diverso. Quando usciranno, tra pochi minuti, si capirà./- Usciranno dove ?/ -Nella loro vita da costruire” (“IL RITORNO A CASA”). Una citazione che ci riporta ai ragazzi della “RACCONTO DI UNA PANCHINA”, desentimentalizzati…come se i sentimenti li dovesse provare lo smartphone. In Asimov l’uomo che non sa amare, per farlo si affida ad un software e alla fine è il software che diventa umano innamorandosi, facendo fuori l’uomo e amando al posto suo. Il messaggio di Alessandra è ora chiaro, come quello di Asimov: la meccanicizzazione dei sentimenti renderà l’uomo un robot, un computer, uno smartphone. Bisogna purificarsi per tornare a provare emozioni. Ciò che era naturale, come immergere i piedi in un torrente d’alta quota, sentire il vento sulla faccia, lasciarsi scaldare dal sole sul viso, oggi bisogna guadagnarselo, ricercarlo. CONTEMPLAZIONE. Dopo la salita, l’arrivo in cima. La poetessa è lì ad aspettarci, per contemplare con noi l’Infinito, l’Essenza. Una Trasfigurazione come sul Monte Tabor. Torneremo a valle e alla vita mutati in uomini e donne nuove. La poetica del Fanciullino di Pascoli avrà senso. Le foglie di autunno saranno un luogo meraviglioso in cui rotolarsi. Altra perla di Alessandra: un elemento che di solito rappresenta la morte (come le foglie che cadono) è qui l’inizio di una nuova era: “Ed eccole ancora sospese/come luce ramata, lievi come trina./Ed eccole scendere amorose/a indicare il tempo d’ottobre/ridente un poco…/In questo paesino, irrequieto/per cittadine voglie/bambini e cani sanno tuffarsi/tra le foglie dal disio di riposo chiamate/che come le dantesche colombe/corrono a inseguir l’inverno” (“FESTA DI FOGLIE”). E allora la “GINESTRA,” citata in “BAR DI NOTTE”, come in Giacomo Leopardi diviene lo stendardo dell’arte della poetessa. Similmente alla concezione del sommo poeta, il fiore, pur piegando la testa di fronte alla lava del Vesuvio sterminatore, continua a vivere superando eroicamente ogni ostacolo. Simbolo di attaccamento alla vita e della solidarietà umana. In Alessandra l’idea va oltre, è citata al plurale “GINESTRE” perché esse rappresentano quelle persone che tornano a vivere con l’occhio dell’Amore e della Bellezza, quello di Giulietta e Romeo, dell’Infinito, del bambino che si rotola nelle foglie d’autunno. Oltre la lava del Vulcano riscoprire, ritirar fuori e far rivivere Pompei. E allora la poetessa più chiudere l’opera: “Voglio tornare ma vorrei anche restare qui, a vedere se ricrescono le ginestre…” (“IL RITORNO A CASA”).

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