GIUSEPPE GALLINA BIASOTTO

RIDERE RIDERE RIDERE ANCORA ORA LA GUERRA PAURA NON FA

Spesso si sente dire “L’ironia è il sale della vita!”. Nel caso del nostro poeta Giuseppe Gallina Biasotto, essa è anche pepe, peperoncino, curry, salvia, rosmarino ed ogni altro tipo di spezia. La parola “satira” deriva dal latino SATURA LANX ed indica il vassoio riempito di primizie in offerta agli dei! Ebbene il nostro poeta Giuseppe condisce abbondantemente il piatto. Ridere, far sorridere, sdrammatizzare. Tutto fatto con uno stile scelto e studiato sulla scia di Cecco Angiolieri e Boccaccio, ma anche di Woody Allen. “La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo”(Jim Morrison). Questa frase sembra essere alla base dell’opera. La poesia programmatica vede il poeta allo specchio, scattarsi una foto: “Mi ho fatto un selfi Mi sento stupìdo/Ma dice Cupido/Va tutto ben…” (“Mi ho fatto un selfi”). È allora tempo di mostrare l’altra faccia della medaglia, il mondo allo specchio, rovesciare i canoni. Il poeta scrive e affigge il suo manifesto, il suo è un atto di ribellione, la non convenzione, la libertà dell’ironia: “Aggrappàti disperatamente a miti, a riti, ai vituperati Eroi che non capiamo/Dentro a cicloni di simboli fatui, di effimeri fuochi/Che pure incendiano/Dentro a flash intensi, violenti, stornanti /Vaghiamo espansi sorridenti ebeti a buchi neri/Obbiettivi che ci stanno di fronte di lato d’intorno” (“RENDO NOTO”). Allora la onomatopea, l’anafora, la cacofonia e i doppi sensi, sono le spezie che danno sapore ai versi. La poesia per l’amata diventa irriverentemente “MACACA D’AMORE”, dove viene già da sorridere per il gioco di parole del titolo: “Di poi lei soffiava/–chécciài da guardare?–/–Sei bella, più bella./Sei bella d’amare–/–Ma piantala scemo!”—/ E lui sorridendo/andando vicino/le disse –Macaca!–/Lei s’era infuriata/E col dito all’insù/Guardandolo fisso/Corrusca gli disse/–macaca tu!-” (“MACACA D’AMORE”). L’incontro amoroso si risolve comicamente in un bacio fra le dentiere: “Si bacian le dentiere porelle, n’han bisogno, èh!/Almen la buona notte di dir com si conviene./Non so cosa mi prenda poi che non ho quasi sonno/Rigiromi nel letto La guardo con amore… Bene./No no non devo più guardare quei filmi de l’horrore” (“QUEI FILMI DE L’ORRORE). La demitizzazione del LOCUS poetico tradizionale raggiunge il suo picco nei versi, che vedono smontare “i sogni” tanto decantati nella tradizione artistica: “La paura/dell’attenzione non è l’ansia/del simbolo che indica l’incubo reale/che forma l’ansia della vera attenzione;/dove la tensione forma_ggio di latteria/mangiato dal gatto con la nonna che grida/grida! che il latte reale è ribollito e/fuoriuscito nel caffèllatte/cappuccino con briosce grazie zào!/Così dicevo tra me e me nella culla/E il volto giocondo e ridente di mamma/brillò davanti al mio urlando: –Ma quanta bella pupù c’ha fatto il bimbo mio!–Sorrisi felice: era un sogno normale” (“LA FANTASIA VINCE SEMPRE – DIVERTISSEMENT NONSENSE”). Se Oscar Wilde potesse leggere, si autociterebbe “L’umanità si prende troppo sul serio. È il peccato originale del mondo. Se l’uomo delle caverne fosse stato capace di ridere, la storia sarebbe stata diversa”(Oscar Wilde). La poesia del sorriso di Giovanni si rivolge direttamente al lettore: “Prendimi e portami con Te/nelle Tue case nelle Tue chiese/Prendimi e portami in Te” (“CON QUESTO MALESSER MIO”). Avere in tasca una risata farà affrontare meglio la vita, d’altronde l’autore, come il poeta, professore e cantautore Vecchioni canta: “RIDERE RIDERE RIDERE ANCORA ORA LA GUERRA PAURA NON FA”…

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