GIOVANNI DE GATTIS

LIBERARE L’ANIMA NEL CASSETTO

L’opera poetica dell’artista Giovanni de Gattis si basa su un concetto fondamentale: la ricerca della Verità: “La ricerca della verità è più preziosa del suo possesso” (Albert Einstein). Fine (telos) della sua poesia è sciogliersi e far sciogliere il lettore dai nodi inestricabili della falsità e delle contraddizioni di un mondo malato: “Come possiamo sopportare l’insolvenza/di questa società, e sfregarci le mani, per i sogni mancati./Come non possiamo, renderci conto dello squallore/di anime false e in pena della loro ambiguità , scelleratezza….In quell’omertà che, pesa come un macigno enorme/sulle spalle della nostra esile esistenza/In quell’egoismo che, violenta, ogni giorno, l’umanità!” (“Ambiguità e inoscienza”). Una società marcia che ha costretto l’autore a chiudere l’anima (non solo i sogni!) in un cassetto: “Ho l’anima a pezzi/tanto da rinchiuderla in un cassetto e lasciarla lì, a marcire/a putrefarsi senza dignità” (“Mondo Marcio”). Per liberarla Giovanni si fa poeta. Egli sente dal profondo del suo essere che l’anima si nutre di bellezza, verità e coscienza; mentre la uccidono e la riducono in catene la falsità, la bruttezza e la non-coscienza. Occorre, allora, dapprima evidenziare e denunciare le contraddizioni che uccidono l’anima e mortificano l’essere umano. Fra tutto, le brutte e perfide maschere della incoscienza: “Un sottile velo d’ipocrisia/lacrima sul tuo volto/nascosto, da una maschera/enorme e nera./Un ghigno segna/il sorriso,/nella la tua delirante/arroganza./L’ anima sprezzante…/Perversa è la tua incoscienza” (“Maschera”). La stessa falsità imposta dall’esterno sul volto dell’autore: “Ho perso il senso di me stesso/nel rincorrere, qualcosa/che appare nei miei occhi/e che non è…” (“Qualcosa che non è”). È tempo di cambiare, di ribellarsi! Il poeta si arma della spada della parola e spezza le catene della sua anima, rompe i sigilli del portale e rende agibile il passaggio verso la libertà: “Tolgo i sigilli/alle porte del destino/e lascio l’anima/sbattere forte” (“Nei muti silenzi m’incammino”). L’oltre è l’inizio del cammino, il viaggio verso l’essenza profumata della conoscenza, la ricerca del divenire pienamente chi siamo chiamati ad essere, nell’espressione totale della potenzialità umana: “Raccolgo/le mie cose/e nei convenevoli/silenzi/m’incammino/verso quel saporoso/profumo di vita/che anima il mio essere” (“Nei muti silenzi m’incammino”). È possibile “sentire”, è possibile “amare”, è possibile “sognare”! Come se aprisse gli occhi per la prima volta, l’anima si incammina sul sentiero. Non si vede molto ma è solo buio, non è più una notte infinita. Bisogna, però, procedere passo dopo passo, in questa prima fase, teneri bagliori indicano la via: “Corre il pensiero/frettolosamente/fra vecchi lampioni…Illuminano/l’essenza umida/dell’esistenza/fra stropicciate ombre d’anima/dove s’annida –l’eco della coscienza–” (“Lampioni di vita”). Per raggiungere la luce, va nutrita l’anima con la bellezza. Allora Giovanni fa uscire i sogni, dallo stessa prigione dove essa era rinchiusa, meravigliosi portatori di colore: “L’orizzonte si staglia sul pelago/risucchiando il sole dentro di se./Tutto d’intorno tace e l’aria s’è presa sera./Qualcosa da luce ai sogni” (“La luce dei sogni”). Il cammino illuminato porta l’anima sino al confine del Mare. Un simbolo magnifico che ci regala il poeta. L’acqua della verità, della coscienza, ma anche della conoscenza. Giovanni ci si immerge pienamente, l’anima di fronte alla bellezza indossa il velo da sposa: “M’imbevo di mare…/ascolto le onde…/Accendo/la fredda luce…/M’imbevo di mare/e di quel tramonto/rosso e/l’anima s’è presa/quel velo, che le copre il viso…” (“M’imbevo di mare”). Il poeta dopo questo bagno di sapienza, ha acquisito la facoltà degli “occhi di mare”, ha ricevuto in dono la visione artistica: “Fra rime d’azzurro…/a rifiatare la coscienza:/oltre quell’umile sognare/c’è la gioia, negli occhi di mare” (“Con gli occhi di mare”). Giovanni con questo nuovo modo di vedere, nell’essere pienamente libero in corpo e anima, è ora capace d’amare, è l’Amore la prossima tappa del viaggio, la linea al confine tra mare e cielo: “I miei occhi seguono la linea dell’orizzonte/perdendosi oltre il tramonto. Laddove pulsa/il mio animo, nel solo desiderio di te!… /Tu…oltre il tramonto stai!” (“Solo amore”). Nella luce non parliamo più di “due” ma solo di “uno”, è una profonda e intensa unione di anime e corpi: “La fuggevole e lucente/tua anima/sul mio corpo/scivola via…/Smania l’essere che è in me…/La tua anima sul mio corpo/immensamente pura/e soffice/nell’incredulo fare/si adagia/lentamente/a soddisfarne l’essenza” (“L’anima sul mio corpo”). Il lettore che si avvicinerà a questi versi, allora, verrà liberato dai lacci dell’ipocrisia e dalla falsità. Potrà così seguire il poeta in questo meraviglioso viaggio verso la luce, il mare, l’amore, la Verità. Le parole di Gibran potrebbero chiudere la silloge: “Non dite –Ho trovato la verità–, ma piuttosto, –Ho trovato una verità–/.Non dite: –Ho trovato il sentiero dell’anima–, ma piuttosto, –Ho incontrato l’anima in cammino sul mio sentiero–./Poiché l’anima cammina su tutti i sentieri./L’anima non procede in linea retta, e neppure cresce come una canna./L’anima si schiude, come un fiore di loto dagli innumerevoli petali” (K. Gibran). Eppure, Giovanni ci indica che il cammino non è finito perché la tappa finale è l’Infinito: “Dopo di noi l’infinito/Con gli occhi appesi/al cosmo/osservo/l’instancabile e folle/corsa del pensiero/verso l’ignoto./Una scossa/e un leggero brivido/mi concedono/l’armonia dell’essere./Gioendo/colgo al tatto/la concretezza del risveglio./So di certo una cosa:/dopo di noi l’Infinito” (“Dopo di noi l’Infinito”). Liberiamo l’anima dal cassetto!

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