VICTOR

LA PAROLA DEL POETA

L’arte del poeta Victor nasce dall’interno, è frutto di una “maturità” riflessiva, con evidenti richiami all’opera di Ungaretti e di Montale. Gli eventi, le emozioni, ciò che ha suscitato qualcosa nell’artista è, poi, oggetto di una ampia interiorizzazione. Successivamente, dopo che la “ruminatio” ha placato la furia del momento e dopo un lungo struggimento interiore, l’autore crea: “Codesta talora/ti sovviene palese,/nitida/nei suoi contorni d’immagine,/affresco mentale/fugacemente…/in quella brevissima eternità…/t’affanni a scolpire/nell’anima/tale visione…/è sforzo inane/sperar di riguadagnare/l’attimo di genio../t’appigli a un circostanza,/un momento…/nei confini angusti della parola…/e pensi,/rimugini/smani,/ti struggi…/Ma è in quell’istante/che la furia si placa,/e principia il comporre/che l’arte soccorre il tuo sforzo…/E tu/ispirato/dal suo sacro fuoco,/crei.” (“L’ispirazione Codesta talora”). Non è quindi una scrittura di getto. Ciò si nota dall’uso di uno stile “ungarettiano”, che prevede parole rarefatte, spesso solo una, per verso. Sono importanti, infatti, anche gli spazi bianchi, entro i quali Victor crea, quei “limes” vuoti attorno che come montagne custodiscono una valle incantata e incantevole in mezzo: il logos. La terra promessa. È questo principio che collega il nostro autore anche a Montale: un Ermetismo riflessivo. C’è, però, la differenza che l’aridità, la semplificazione, la decompressione della realtà, è cercata da Victor, proprio perché solo ponendosi in quella condizione è capace di entrare in contatto col “fuoco sacro”. Non solo! L’interiorizzazione può far si che l’esperienza vissuta si elevi, “ascenda” a un valore più alto e quindi abbia effetto divenendo importante per la vita e l’esistenza: “Quel tempo del dirsi/parole d’amore../ascende tuttora,/lo scandire dei giorni,/di momenti infiniti…/quel giorno è l’oggi,/è l’essenza/di ogni mattino,/di un soffio vitale…” (“Quel tempo”). Victor, insomma, applica alla vita e all’arte i principi tradizionali della LECTIO DIVINA. Canonicamente questa è divisa in quattro fasi: “lectio”, “meditatio”, “oratio”, “contemplatio”. Dapprima allora l’autore legge il fatto che succede (lectio): “È stato solo un istante/Ma inusuale,/meno approssimativo dei miei cliches…/Ho sentito/battermi il cuore,/quasi scoppiasse…” (“Un istante”). Si passa quindi alla “meditatio”. Emergono, cioè i sentimenti dell’uomo di ogni tempo come il timore, la gioia, la sua speranza, la confidenza, la fiducia, ma anche, all’opposto, la paura dell’affidarsi, i suoi dubbi, la solitudine. È uno scoprire e trovare noi stessi, il nostro modo di essere e agire in profondità: “Non guardarti indietro…/Abbeverati a fontane/di bellezza,/stillane la purezza,/che è tua,/e specchiati…/nella tua grandezza di animo…” (“Cinquanta”). La fase che segue è “l’oratio”, la preghiera. La voce di Dio, il “fuoco sacro” schiude l’aridità e dona al poeta la forza di creare: “Io cerco,/mi sfugge,/mi arrendo,/poi sovviene,/in mille rivoli desueti…/E diventa fiume..” (“Reminiscenze”). Segue la contemplazione. Il termine latino “contemplatio” va tradotto in italiano: guardare, osservare con senso di meraviglia, di stupore. Il conoscere non come funzione intellettuale, o il vedere e l’ascoltare come azioni materiali, ma piuttosto una conoscenza con il cuore che si sperimenta con la vita. Contemplare è entrare in un rapporto con l’Amore. L’estasi davanti al bello e al buono. L’intuizione che, al di là delle parole, dei segni, del fatto vissuto, delle cose meditate, c’è qualcosa di più: il “M’illumino d’immenso” di Ungaretti. L’Amore e il Fuoco Sacro dentro di noi, la certezza di essere stati toccati dalla grazia divina: “E laddove l’uomo/apparentemente/vince/su un cosmo/infinito,/si perde,/nei sensi di un’estasi/che conoscer mai non sa” (“Meriggio d’Agosto”). Non è, però, una contemplazione astratta ma essa comporta sempre l’azione. L’agire del poeta, il cui cuore è toccato dalla presenza divina, si tramuta nella realizzazione della Parola. C’è infine un quinto passaggio, che non è presente nella tradizionale lectio divina, ma lo si vede quando l’aspetto diventa comunitario, ovvero quando l’uomo decide di condividere la sua esperienza con gli altri. È il momento in cui Victor sceglie la condivisione della propria anima nella poesia. E allora il messaggio finale, rivolto nella poesia “Pasquale”, è dedicato ad ogni lettore che voglia e sappia avvicinarsi a questi profondi versi meditati, dei quali anche solo una parola potrà schiudergli il mondo: “Sappi di esser forte/della tua bellezza,/di un mondo di conoscenze,/che sono tue proprie,/sempre,/grandi o piccole che siano./Ascolta anche una sola parola/che parli al tuo cuore,/non considerarla fuori dal tempo,/perché un domani/ti schiuderà il mondo” (“Pasquale”, Victor).

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