FRANCESCO COLOMBO

IL FIUME SCORRE

Il poeta Francesco Colombo, nella sua opera “Il fiume scorre”, riesce in pochi versi a descriverci l’attimo “prima” e quello immediatamente “dopo” del passaggio dell’uomo al “nirvana”. Per questo si può affermare che il poeta è un novello “Siddharta”. Il premio nobel per la letteratura Herman Hesse nel suo capolavoro “Siddharta” ci mostra il protagonista, ispirato al Buddha, che cerca di vivere pienamente la propria vita, inseguendo la felicità e la pace interiore attraverso la scoperta del proprio io. Il nirvana è il fine ultimo della vita, lo stato in cui si ottiene la liberazione dal dolore, la saggezza, la pace. Il testo dell’autore è carico di significati, di tradizioni filosofiche e culturali, denso di citazioni implicite. Il titolo “Il fiume scorre” richiama subito Eraclito e la sua dottrina “Panta Rei”, tutto scorre: il divenire. Il fiume è il simbolo della realtà, che solo apparentemente rimane una e identica, ma che in effetti continuamente si rinnova e si trasforma, sicché non è dato tuffarsi in esso più di una volta, perché la seconda volta non è lo stesso fiume della prima: “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell’impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va” (Eraclito). Già qui c’è un richiamo a Ungaretti e alla sua “M’illumino d’immenso”. Ci troviamo all’interno di un percorso, di un viaggio umano filosofico, teologico, morale: “La maggior parte degli uomini, Kamala, sono come una foglia secca, che si libra e si rigira nell’aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c’è vento che i tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.” (H. Hesse, “Siddharta”). Con queste premesse possiamo leggere, passo dopo passo, i versi di questa esperienza che Francesco condivide con noi.
L’autore è giunto ad una fase cruciale: “Il fiume scorre la cenere galleggia”. Nell’acqua l’uomo ha lasciato il superfluo, s’è spogliato come Siddharta delle “cose vane”. È l’attimo in cui la fenice muore e si riduce in cenere, il tempo in cui il Cristo spira e giace nella tomba. Temporalmente, ma anche come “tappa del cammino”, è l’istante prima della Resurrezione. Nascerà dalle ceneri un uomo nuovo, una nuova fenice. Il passaggio che avviene e non è solo una Pasqua, è una rinascita e una trasformazione mistica, un mutamento, un’evoluzione: “L’anima vola per un luogo lontano”: il nirvana. Da sottolineare che il verbo usato è “vola”, vale a dire “elevazione” verso il cielo, sopra le vette. Anche la preposizione “per” al posto di “in”, indica che è un andare verso uno stadio della conoscenza, una tappa o meta cercata, inseguita, non arrivata casualmente senza una partecipazione attiva. “La luna mi accompagna/la vita continua altrove”: questo è un verso soave e consolatorio. Il fatto che pur nella notte (morte) l’uomo non resta solo, ma c’è una presenza divina e naturale (la Luna) che lo accompagna. Dolcissimo è, allora, pensare ognuno dei nostri cari, passati a miglior vita, accompagnati per mano e non lasciati in solitudine. “Verso remoti e/sconosciuti lidi,/dopo il fuoco la pace”: il nirvana, il paradiso, una nuova vita, la pax interiore. Il fuoco non c’è più è diventato cenere nel fiume. L’uomo nuovo non è più Adamo ma Cristo. “Gli dei mi guardano/nel mio vagare veloce”: un percorso condiviso in molte religioni, in molte dottrine filosofiche: cristianesimo, buddhismo, induismo, multiculturale, pluralismo umano e filosofico. “Verso un Nirvana/tutto da scoprire”. Nella tradizione letteraria quanti e quali uomini sono tornati in vita, descrivendo cosa hanno visto nel Paradiso o nel post mortem? Ulisse in Omero, Enea in Virgilio, ce ne parla Cicerone nel “Somnium Scipionis”, il mito di Orfeo ed Euridice, San Paolo nella Lettera ai Corinzi e nell’apocrifo “Visio Sancti Pauli” e ovviamente Dante nella “Divina Commedia”. L’autore con grande umiltà descrive ciò che ha visto. Per il lettore è una grazia, una condivisione del finale, della meta: “Leoni tigri e serpenti sembrano agnelli mansueti/di pace rivestiti vicino a mostri umani./Angeli e Demoni/si rincorrono/per accaparrarsi la mia anima./Incubi e sogni/accompagnano/il mio scorrere/verso il placido mare”. Il gioco letterario finale è stupendo: è stato un sogno come in Cicerone? Come ha potuto vedere tutto ciò? Un nuovo Ulisse ed Enea ma anche Dante e San Paolo. L’uomo vecchio Adamo che attende la resurrezione nell’uomo nuovo Cristo. Eppure è sempre Siddharta che ci viene in mente: il fiume scorre, Panta Rei verso la Pax: “E dopo il fuoco la pace”.

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